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Ecco come Mosca sta finendo tra le braccia di Pechino

Il buono (gli Usa), il brutto (la Cina) e il cattivo (la Russia)? Visto da Bruxelles, qualche osservatore ha sintetizzato con questo abusato ma efficace riferimento cinematografico, il triangolo che sta monopolizzando l’Apec, il vertice che raggruppa a Pechino i leader delle 21 economie che si affacciano sul Pacifico e altri 17 leader regionali. Un summit che rischia di costare caro all’Europa, che vede sfuggirsi di mano le risorse energetiche di Mosca, che migrano ad Est, e assiste inerte a un mutamento genetico della politica estera del Cremlino, che potrebbe cambiare i futuri equilibri mondiali.

LE INTESE SUL GAS

Dopo l’accordo trentennale di maggio scorso, il forum Asia-Pacifico ha sancito ieri il rafforzamento della partnership tra Xi Jinping e Vladimir Putin, grazie a una nuova intesa da 400 miliardi di dollari che fornirà al Dragone un quinto del fabbisogno di gas per i prossimi dieci anni e che prevede la costruzione di un oleodotto nella regione dello Xinjiang.

MOSCA CAMBIA PASSO

L’accordo, spiega il britannico Financial Times, non è casuale. Se da un lato l’Apec si sta sostanziando come la celebrazione dell’ascesa dell’influenza cinese nel mondo, dall’altro svela la strategia russa: le intese economiche tra Mosca e Pechino sono il risultato della nuova dottrina militare del Cremlino, che verrà resa pubblica nella sua nuova versione il mese prossimo e di cui il quotidiano finanziario offre un’anticipazione.

Il documento, svela la corrispondente Kathrin Hille, identifica la Nato, la sua espansione ad Est, l’invio di truppe straniere negli Stati vicini, la destabilizzazione di alcuni Paesi e l’impiego di sistemi di difesa antimissile come “pericoli militari esterni“. Non solo: “cattiva” la Russia, si diceva, perché il testo designa apertamente gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica – di cui fanno parte molti Paesi europei, Italia compresa – come minacce e avversari da contrastare.

LE MOSSE DI PUTIN

In questo la Russia – che l’editorialista Gideon Rachman definisce “un problema più grande dell’Isis” – prova secondo l’americano Foreign Policy a svincolarsi dalle sanzioni europee per l’annessione della Crimea e a puntare su un nuovo pivot asiatico. A confermare la tendenza (rilevata anche dagli analisti di Bloomberg) è l’ad di Gazprom, Alexei Miller, che non nasconde come la nuova collaborazione (non solo economica) con la Cina (“brutta” perché ferocemente pragmatica), possa “eclissare” la fornitura di gas al Vecchio continente e dunque la sua sicurezza energetica.

IL COSTO PER L’EUROPA

Difficile discernere gli effetti concreti dalle minacce, fatto sta che anche in questo caso il grande “assente” dal dibattito si conferma l’Europa, che al vertice non sconta tanto un’assenza fisica – giustificata dalla propria posizione geografica – quanto un’ormai conclamata incapacità di proporsi come attore geopolitico. Washington (“buono”, in questo caso), prova da tempo a responsabilizzare il partner europeo, al quale chiede un maggiore coinvolgimento, se possibile con una voce sola, nei dossier che contano. Una lacuna a cui proverà faticosamente a porre rimedio la nuova titolare della Pesc, l’italiana Federica Mogherini. La crisi ucraina e il rapporto tra Bruxelles e Mosca – concause delle “relazioni pericolose” tra la Russia e Pechino – possono costituire un primo, importante, banco di prova.

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