Chi e come realizzerà la nuova rete cinese marittima ad ampio raggio? Servirà per gestire i disastri, salvaguardare l’economia costiera e la tutela degli interessi marittimi, ma non solo. Le mire di questa nuova iniziativa potrebbero essere ben maggiori. A questo si aggiunge la nuova proposta della SCO, la potente organizzazione in cui è presente anche Mosca, di ridurre le barriere commerciali nella macro-regione asiatica.
LA NUOVA RETE
La Cina sta creando una fitta rete di osservazione in mare aperto (sarà ultimata entro il 2020) per far fronte alle catastrofi naturali, garantire lo sviluppo dell’economia costiera e la protezione del Paese. L’efficacia di questa nuova rete di occhi 2.0 sarà estesa anche alle fasce polari, dove già da tempo si registra un certo traffico di interessi e pretese per le risorse presenti sotto il ghiaccio. Chen Zhi, un funzionario del Dipartimento nazionale della prevenzione dei disastri, ha spiegato che la capacità di osservazione offshore del Paese ha registrato un ritardo nello sviluppo nel paese in termini di osservazione marittima, di infrastrutture e di supporto tecnico. Ragion per cui questa misura si rende imprescindibile.
GLI OCCHI DI PECHINO
Secondo fonti governative, il Paese necessita della costruzione di una rete di osservazione in mare aperto al fine di sfruttare completamente il potenziale delle aree marine della Cina, e quindi tutelarne tutti gli interessi marittimi. Le linee guida di questo progetto, pubblicate lo scorso mercoledì, definiscono il perimetro dell’azione, da completare entro il 2020. Primi passi saranno la realizzazione di stazioni radar, di quelle per gli allarmi tsunami e anche di quelle per le ricognizioni sottomarine e le operazioni satellitari.
IL TREND
L’iniziativa della rete di osservazione si inserisce in un momento di crescente attenzione internazionale per la vasta area di mare della Cina e per le sue ricche risorse naturali.
Il Mar Cinese orientale e Mar Cinese Meridionale, infatti, sono stati interessati nel recente passato da diatribe con il Giappone, le Filippine e il Vietnam riguardo a vicende legate alla sovranità della Cina sulle isole e sulle acque. Al momento la situazione generale nella regione resta serena, anche perché le singole discussioni sulla cooperazione marittima sono condotte dagli attori regionali. Questi ultimi si riuniscono annualmente in un apposito meeting per garantire che le rotte marittime non siano interrotte da questioni legate alla politica o alla sicurezza e affinché le procedure di soccorso siano operative ed efficaci in qualsiasi momento, a fronte di tifoni o tsunami.
LE PERDITE
Le cosiddette catastrofi offshore hanno causato enormi perdite economiche per la Cina. Lo scorso anno 121 sono stati morti con un danno finanziario di circa 16 miliardi di yuan (2,6 miliardi dollari). Non va dimenticato che a causa del riscaldamento globale e del cedimento strutturale del terreno, il livello del mare della Cina è aumentato di 95 millimetri al di sopra del livello medio tra il 1975 e il 1993, minacciando milioni di residenti costieri. Secondo le analisi dei ricercatori, la situazione potrebbe peggiorare sensibilmente entro il 2050, quando il livello del mare potrebbe aumentare fino a 200 millimetri, sommergendo circa 87mila chilometri quadrati.
MISSIONE: ARTICO
Ma il progetto cinese, oltre che scopi scientifici e legati alla sicurezza, potrà interessare anche la porzione di acque che giunge sino al polo in una zona dove, da alcuni anni, si sta accendendo un interesse diffuso per acque e non solo. Da tempo spedizioni e piattaforme petrolifere operano nelle gelide acque del profondo Nord, prevalentemente per missioni di carattere energetico.
L’ATTIVISMO DELLA SCO
La notizia delle grandi manovre marittime cinesi, è stata accompagnata dall’intenso lavoro compiuto dallo SCO, l’influente organizzazione politica, economica e militare fondata nel 2001 a Shanghai da parte dei leader di Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan. Fatta eccezione per l’Uzbekistan, gli altri Paesi erano stati precedentemente membri della Shanghai Five, fondata nel 1996. Nell’orbita della SCO adesso c’è anche l’India, potenziale prossimo membro e già sotto osservazione. Per questo lo scorso febbraio Dmitry Fedorovich Mezentsev, segretario generale dell’organizzazione, ha visitato Nuova Delhi.
GIU’ I MURI
Giorni fa ad Astana, in Kazakistan, i premier di Cina, Russia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan hanno deciso di concretizzare il processo di cooperazione fra le singole economie. Esse saranno, dal 2015, maggiormente basate sulle risorse industriali avanzate prodotte in loco e provvederanno al sostegno finanziario contro l’impatto dei prezzi del petrolio a picco e contro le incertezze geopolitiche (caso ucraino compreso). Per queste ragioni, i membri dell’organizzazione hanno firmato una serie di accordi per approfondire la cooperazione, applicando profili economici e commerciali multilaterali. L’accelerazione è stata stimolata dal premier cinese Li, che ha invitato l’organizzazione a ridurre le barriere commerciali, migliorando l’efficienza delle dogane e l’accesso al mercato aperto tra i membri dell’organizzazione.
IL FONDO RASIA
Il premier cinese ha inoltre annunciato l’inizio della selezione dei progetti del Fondo di cooperazione “Rasia”. Un’iniziativa da 5 miliardi di dollari, nata dalla consapevolezza che la crescita economica in Asia centrale continuerà a decelerare nel 2015, anche in virtù delle tensioni geopolitiche tra Russia e Ucraina. Il blocco regionale composto da Cina, Russia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan, contiene tre quinti del continente eurasiatico e un quarto della popolazione mondiale. Numeri che la SCO intende far pesare.
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