Skip to main content

C’era una volta Cuba!

_45390698_castro_gorby_ap_226b

Leggo attonito i fiumi di sciocchezze scritte a proposito della decisione di Obama di voler riallacciare le relazioni diplomatiche con Cuba. Una decisione che non è frutto di alcuna bontà, sia chiaro. Nessun ravvedimento per l’idiozia di decenni di sanzioni e sabotaggi. Semplicemente Cuba non ce la poteva più fare da sola. Da tempo cercava aiuto nella Cina o nella Russia, visto che dall’Unione europea ha ricevuto sostanzialmente solo belle parole. Obama ha cinicamente colto l’occasione perché i cubani siano anche loro americani, ma di serie C. Uno scambio a livello mondiale: Cuba vale simbolicamente quanto la Russia ha fatto con Crimea e Turchia. È nata una nuova Yalta globale!

Une resa incondizionata. Cuba non aveva scelta. La rivoluzione, già opacacizzatasi negli anni ’70, costa troppo. Quindi, ecco che si diventa “amerikanos”!

Ricordo ancora con tremante emozione quando nel 1989 dal Malecon della Havana vedemmo le navi cargo sovietiche girarsi nella baia verso il largo, mentre Gorbatchev era in visita a Fidel. Questo segnale confermò quello che nelle settimane precedenti all’importante visita avveniva a Cuba: negozi vuoti delle derrate alimentari del Comecon, nessun pezzo di ricambio per trattori e bus (tranne quelli della città di Milano, grazie a Pillitteri), e la sparizione dell’edizione spagnola della rivista Sputnik (il corrispondente sovietico del Readers Digest). Motivo? Fidel era convinto che le decisioni di Gorbatchev su Perestroika (riforma della burocrazia) e Glasnost (trasparenza) avrebbero fatto il gioco dell’imperialismo nordamericano. Con la ragione di oggi, come dargli torto? Il testardo comandante non cedette e proclamò dal suo Granma che “i trattori non servivano, si potevano usare i buoi e le biciclette” (la Cina donò 1 milione di biciclette di ferro pesante).

Per varie ragioni personali io ero a Cuba. Un’isola già stanca e rassegnata, dopo due decenni di promesse rivoluzionarie sempre meno convincenti. Eppure, Cuba era un mito rispetto ai suoi vicini dei Caraibi o dell’America Centrale. Io venivo dal Cono Sur, dopo qualche anno passato li per riportare una forma di democrazia e di rispetto della dignità umana calpestata dai regimi militari imposti dalla Cia tra il 1973 e il 1976. Anche allora si trattò di succhiare dalle “vene aperte dell’America Latina”, vittima sacrificale nel grande gioco di risiko mondiale. Con Cuba oggi, ne libera ne felice, ci risiamo!

Tra le varie attività cubane che svolsi c’era un progetto finanziato dal Canada per “aiutare il socialismo cubano a non distruggere ciò che aveva con dolore e fatica conquistato”. Il progetto non riuscì perché c’era un embargo americano talmente idiota che impedì ogni forma razionale di discussione con buona parte della dirigenza cubana. Ricordo che nel 1989 Fidel offrì agli Usa un accordo per far diventare Cuba la Silicon Valley dei Caraibi, cosa peraltro possibile per varie ragioni sia educative della popolazione sia di certe risorse minerarie. Niente da fare, la risposta fu un secco no! Così il regime castrista si ripiegò su se stesso, esarcebando, semmai fosse possibile, tutte quelle modalità di autismo autarchico che hanno portato alla fuga dall’isola della parte migliore e meglio educata della popolazione. Fu un vero disastro. Io stesso rifiutai di restare a Cuba, partendo con un volo militare all’alba per Panama.

La “revoluciòn” era fallita. Era evidente, senza rimedio.

Negli anni scorsi sono stato più volte invitato a ritornare a Cuba. Non ho voluto perché le notizie che ricevevo mi facevano male. Sapere che nuovamente l’isola era diventata un passatempo sessuale, delle droghe, e che le conquiste sociali del socialismo cubano erano ormai un ricordo arrugginito, era qualcosa che non volevo vedere. Vigliaccheria, forse.

Una cosa è purtroppo certa. Con l’apertura di Obama giocata dopo aver provocato l’asfissia del regime castrista il futuro dell’isola è segnato. Si tornerà alla grande al grande carnevale di sesso e gioco che ricorda quella bestia di Fulgencio Batista y Zaldívar, che se la riderà nella sua tomba. Pensare che una Mogherini europea possa evitare questo scempio è assolutamente futile, e sarà disatteso dai fatti molto prossimi e venturi.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter