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Mafia Capitale tra corruzione sistemica e declino italiano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

In un quadro politico così frastagliato, una sorta di “partito unico degli affari” si va oggi affermando come il principale centro di potere in grado di guardare lontano nel pianificare le proprie attività, coltivando con lungimirante dedizione contatti trasversali con un potere politico corruttibile. E’ in questo universo di grandi e piccoli comitati d’affari che probabilmente va ricercato uno dei collanti invisibili del connubio bipartisan che a livello nazionale assicura certezze di stabilità a grandi intese politiche manifeste e nascoste, grandi opere d’indiscussa utilità e ancor più grandi profitti nascosti.

Occorre chiederci se una struttura di regole come quella esistente in Italia – ad altissima densità di norme e disposizioni regolative, con procedimenti vischiosi in termini di tempo e costosi per chiunque si confronti con l’amministrazione pubblica – incoraggi la formazione e favorisca il successo di organizzazioni politiche ed economiche favorevoli ad attività produttive, o al contrario di natura predatoria, parassitaria e redistributive.

Di qui le radici profonde del declino italiano: non tanto l’inerzia istituzionale, quanto piuttosto i vincoli sulle possibilità di riforma presente – gli ostacoli a politiche di liberalizzazione, semplificazione burocratica, anticorruzione – frutto di scelte ed esperienze del passato.
E’ nella distorsione dei processi di selezione e ascesa della nuova “classe dirigente” italiana che si misura dunque un ulteriore costo non quantificabile in termini monetari – ma particolarmente insidioso – della corruzione sistemica. Il motore della prosperità è la presenza di incentivi sociali che spingono gli individui a scommettere nell’istruzione e nel progresso tecnologico, ma questo delicato meccanismo perde colpi e s’inceppa quando invece il “talento” premiato nell’attività imprenditoriale e politica è un altro. La politica diventa così la prosecuzione degli affari con altri mezzi.

Uscirne non sarà facile, specialmente se non si prende atto della natura ancora sistemica della realtà di corruzione svelata dall’inchiesta Expo, Mose etc, interpretando questo malcostume come mera somma di condotte individuali. Al contrario, quelle che emergono sono reti ampie, durature e ben strutturate di relazioni che, rispetto a quelle emerse negli anni di “mani pulite”, vedono una semplice riallocazione di ruoli e risorse, ma proseguono con successo nell’opera di saccheggio dei bilanci pubblici.

Alberto Vannucci, Professore di Analisi delle Politiche Pubbliche Università di Pisa, Comitato Scientifico di Società Libera.

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