Grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, pubblichiamo il commento di Massimo Tosti uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Alla vigilia stretta delle dimissioni (annunciate e inderogabili) Giorgio Napolitano si è levato alcuni sassolini dalle scarpe. Soprattutto nei confronti della magistratura. Come presidente del Csm, avrebbe potuto, nel corso degli anni, sollecitare maggiormente le toghe a non uscire dai binari che la Costituzione impone loro: probabilmente non lo ha fatto (con la dovuta severità) per non aprire un ennesimo conflitto di interessi. In ogni caso, è importante che lo abbia fatto oggi, al termine del suo doppio mandato.
L’altro ieri, il capo dello Stato ha condannato esplicitamente il «protagonismo» di alcuni giudici (e soprattutto di alcuni procuratori): «Comportamenti impropriamente protagonistici e iniziative di dubbia sostenibilità assunte nel corso degli anni da alcuni magistrati della pubblica accusa». Più in generale, il presidente della Repubblica ha avvertito che «politica e giustizia non possono e non debbono percepirsi come mondi ostili guidati da reciproco sospetto».
Alle parole di Napolitano si può aggiungere una considerazione: la tripartizione dei poteri (disegnata oltre due secoli fa da Montesquieu) prevede l’indipendenza di ciascuno dagli altri: i magistrati l’hanno molto spesso reclamata per se stessi, ma hanno mortificato quella del potere legislativo, bocciando clamorosamente le iniziative che esso assumeva e che a loro risultavano sgradite (il decreto Biondi del 1994, molte leggi proposte dai governi Berlusconi, e perfino la riforma della giustizia voluta da Renzi).
«Sarebbe necessario», ha aggiunto Napolitano, «che tutti, politici e magistrati, facessero prevalere il senso della misura e della comune responsabilità istituzionale, poiché la credibilità delle istituzioni e la saldezza dei principi democratici si fondano sulla divisione dei poteri e sul pieno e reciproco rispetto delle funzioni di ciascuno». Come se non bastasse, Napolitano ha anche denunciato le «ingiustificate lungaggini» e i «casi di scarsa professionalità», «sia in campo civile che penale» di una parte della magistratura. I tempi lunghi arrecano gravi danni alle attività imprenditoriali. Sono considerazioni importanti. Ed è legittimo sperare che il prossimo inquilino del Quirinale ne tenga debito conto.