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Ecco la seconda vita dell’energia nucleare negli Usa

Negli ultimi 30 anni, gli Stati Uniti hanno visto un profondo arretramento nell’intera filiera dell’energia nucleare. I motivi sono molti. Una progressiva perdita d’importanza dell’aritmetica delle testate tipica del periodo bipolare. I due incidenti nucleari. Il primo, del 16 marzo 1979, al reattore numero 2 della centrale di Three Mile Island, che pur non avendo causato né feriti né morti, ha assottigliato la leadership nucleare USA e inoculato la sindrome cinese nel sentimento popolare. Il secondo, del 26 aprile 1986, alla centrale di Chernobyl in Ucraina, che pur essendo un incidente man-made (un incidente del genere non sarebbe mai potuto accedere negli USA, le cui centrali erano molto più sicure e meglio gestite), ha di fatto stoppato la costruzione dei reattori USA LWR (Light Water Reactor). Infine, il boom del fracking ha prodotto abbondanti forniture di gas naturale a prezzo competitivo portando alcune utilities elettriche a chiudere i reattori più vecchi piuttosto che ad investire in un loro upgrade.

La conseguenza di questo abbandono della filiera nucleare ha avvantaggiato i competitor che hanno comprato parte della base industriale del nucleare USA, con la Toshiba che ha acquistato la Westinghouse e la Hitachi il braccio nucleare della General Electric.

Come sempre accade nelle filiere ad alta tecnologia, ad alta intensità di capitale e dalle caratteristiche endogene, una scelta di rinuncia commerciale e industriale si riverbera sul sistema accademico, sulla difficoltà per l’intero comparto di effettuare un naturale turn-over di personale e sulla perdita d’influenza e di aggiornamento del sistema regolatorio.

Eppure nel 2013 – nel silenzio delle statistiche e degli analisti – gli Stati Uniti hanno contato circa 1.200 nuovi ingegneri nucleari, pari al 160% in più del decennio scorso, e tutti hanno trovato immediata collocazione in aziende grandi, medie e startup.

Cosa è cambiato? La risposta sta nel “cambiamento climatico”.

Il mondo accademico USA, una parte del Pentagono e qualche consigliere del presidente Obama hanno letto i numeri senza emotività. L’energia nucleare provvede al 20% dell’intero fabbisogno elettrico USA senza emissioni inquinanti (GHG). Comparando tale dato con le rinnovabili, troviamo il 6,8% dell’idroelettrico, il 4,2% dell’eolico e lo 0,25% del solare. Inoltre, visti gli alti consumi industriali USA, il nucleare soddisfa il cd. “carico di base” (elettricità prodotta senza sosta), mentre le rinnovabili producono elettricità in modo intermittente (quanto soffia il vento o spende il sole).

Un aiuto al risveglio nucleare USA è arrivato nel 2014 dall’IPCC dell’ONU che, per la prima volta, nella relazione finale sul rischio climatico ha lanciato un appello a produrre con fonti non emittenti, concludendo che per mitigare il cambiamento climatico e soddisfare la crescente domanda energetica, il mondo dovrebbe almeno costruire più di 400 nuovi reattori nucleari nei prossimi 20 anni, duplicando l’attuale flotta. Detto da un organismo ONU, soprattutto dopo l’incidente del 2011 alla centrale nipponica di Fukushima, è un “lascia passare” importante.

I nuovi giovani del settore nucleare civile e dual-use vedono nell’energia nucleare una speranza per l’ambiente e il clima. Il paradigma di riferimento è quindi cambiato.

Affinché ciò sia possibile i nuovi pionieri dell’energia nucleare – i “young guns” – hanno scelto una strada virtuosa: sviluppare nuove idee, ovvero progetti e tecnologie sostitutivi dei vecchi reattori LWR, ritornando nelle librerie dove sono accumulati migliaia di studi fatti in passato, e lanciare nuove iniziative imprenditoriali. Negli Stati Uniti si contano negli ultimi 2-3 anni almeno 9 startup, ognuna con un proprio progetto di reattore avanzato.

Se, quindi, il paradigma di riferimento è cambiato, il senso di missione e di urgenza che aveva animato i fondatori è rimasto inalterato. Ciò ha portato investitori privati a finanziare le startup, producendo “catena del valore” e futuro. Pensiamo a TerraPower, finanziata Bill Gates e dal precedente CEO di Microsoft Nathan Myhrvold; a General Fusion, che ha ricevuto fondi per 32 milioni $, di cui circa 20 M$ dal fondatore di Amazon Jeff Bezos; a LPP Fusion, che ha beneficiato dell’aiuto di Indiegogo, società di crowd-funding; a Transatomic, che ha ricevuto finanziamenti da venture capitalist (anche ex ingegneri di successo delle grandi università scientifiche USA) e oltre 2 M$ dal co-fondatore di PayPal Peter Thiel.

Grazie a nuovi giovani, nuove idee e nuovi soldi, un settore che sembrava moribondo su base sistemica e svenduto ai competitori stranieri ha trovato nuovo dinamismo. Manca un player chiave, ancora nascosto, che è il Governo USA, pilastro del senso sopra citato.

Occorre ricordare il discorso pronunciato all’ONU nel 1953 dal Presidente Dwight D. Eisenhower – Atoms for Peace – che era la strategia per il futuro degli Stati Uniti e ha portato il Paese, già alla fine degli anni ’60, a superare l’Unione Sovietica, che aveva acceso il primo reattore nel 1954. Ciò è stato possibile grazie ai fondi del Governo – e agli sforzi tecnologici prodotti dalla Marina USA – per la ricerca, il sistema accademico, i laboratori, le startup industriali, le tecnologie e un innovativo sistema regolatorio.

In pochissimi anni, gli Stati Uniti avevano costruito il proprio ideale, fatto di 100 reattori in esercizio e altri 100 pianificati (tutti in economia di scala, con un sistema autorizzativo rapido, uniformità operativa, bassi costi di gestione e controllo e massima sicurezza), di grandi laboratori per test e analisi, di università e di una regolamentazione che non avevano uguali al mondo, nonché di 52 differenti tipologie di reattori possibili per diversi utilizzi.

Il futuro degli Stati Uniti si basava su tre pilastri: progettazione, catena del valore e sistema regolatorio. In tutti e tre il Governo ha avuto un ruolo decisivo. Lo dovrà avere ancora oggi.

L’arrivo dei “young guns” ha anche risvegliato l’interesse degli “old pros”, cioè delle compagnie operative da anni. Ad esempio, il gigante dell’ingegneria Fluor ha appena comprato la startup NuScale Power attiva nella progettazione di un nuovo SMR (Small Modular Reactor). Un secondo tipo di SMR è in fase avanzata presso i laboratori della Babcock & Wilcox. Ciascuna ha ricevuto 226 milioni $ di finanziamenti governativi a fondo perduto per la ricerca. Si tratta di magre sovvenzioni del Governo federale, peraltro le maggiori per progetti di sviluppo del nucleare avanzato.

Un’altra “old pro”, General Atomics, attiva dal 1955, sta sviluppando il reattore EMM (Energy Multiplier Module) per combinare i benefici degli SMR con una progettazione in grado di convertire i rifiuti radioattivi in elettricità e anche di produrre calore ed energia per applicazioni industriali.

Per far capire l’importanza degli aiuti governativi, General Atomic e TerraPower di Bill Gates si sono spostate in Cina per sviluppare e testare i propri reattori. La Cina, infatti, è il primo mercato al mondo di nucleare, ha un sistema autorizzativo molto più rapido e un sistema legale che non minaccia programmi nucleari esteri. Tutte le altre startup, almeno per ora, sono rimaste negli USA sperando nel supporto federale.

Lo ripetiamo. L’energia nucleare è un sistema strutturato (ricerca, università, laboratori, tecnologie, ecc.), ad alta intensità di capitale e tecnologia e con una dimensione endogena. Il senso di missione e di urgenza dei “young guns”, che sta spingendo anche gli “old pros”, non basterà senza l’aiuto del Governo nell’identificare un pratico e realistico percorso di sviluppo, nel finanziare in modo adeguato a coprire gli alti costi e i rischi finanziari e nel ripensare il sistema di regolamentazione adattandolo alle nuove tecnologie nucleari.

Non smetteremo mai di credere che i “young guns” sono il futuro di un Paese e che la politica deve avere come missione quella di metterli nelle condizioni di poter realizzare le proprie idee, innovazioni e rischi. Le startup nucleari USA sono la “nuova idea” del Paese che, se adeguatamente sostenuti e con una leadership tecnico-politica legata all’interesse nazionale, trasformeranno la ricerca e le progettazioni di oggi in potenza futura.


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