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Eni, perché è cosa buona e giusta non vendere Saipem. Parla il prof. Sapelli

Eni ha deciso di congelare la vendita del 43% di Saipem. La decisione del colosso energetico capitanato dall’ad Claudio Descalzi arriva dopo lo stop di Putin al gasdotto South Stream e al calo del prezzo del petrolio. Fattori che hanno fatto crollare in borsa il valore della controllata del Cane a sei zampe e indotto i suoi vertici a fare un passo indietro.

È stata la scelta giusta? Con quali conseguenze? E quali, ora, le prospettive?

Aspetti analizzati in una conversazione con Formiche.net dallo storico ed economista Giulio Sapelli, dal 1996 al 2002 nel cda del Cane a sei zampe, dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore del pamphlet “Dove va il mondo” (edizione Guerini).

Professore, perché Descalzi ha deciso di congelare la vendita di Saipem?

Le condizioni di mercato sono divenute troppo instabili. A causa della crisi ucraina e delle conseguenti sanzioni, la Russia ha deciso di dire basta a South Stream. Saipem ne ha risentito, perdendo molto del suo valore. Si può ipotizzare che il dossier Saipem sarà riaperto quando si stabilizzeranno i prezzi del petrolio e ci sarà maggiore visibilità sulle sue prospettive.

Come valuta questa scelta?

Ragionevole. Dopo la perdita di un contratto così grosso come quello di South Stream, vendere ora avrebbe significato svendere. Come ho già detto in passato a Formiche.net, se fosse per me, prima di cedere Saipem aspetterei che Eni cresca fino ad essere in grado di raccogliere intorno ai 2 milioni e mezzo di barili al giorno. In quel momento potrà rinunciare senza alcun affanno ai vantaggi offerti dalla controllata. Anche Descalzi ha una strategia simile: intende trasformare l’Eni da compagnia domestica a una big. Per farlo vuole puntare sempre meno sulle infrastrutture di Saipem, concentrando investimenti e attività sull’estrazione. A differenza mia vuole disfarsi prima di Saipem, ma per fortuna non ha fretta di vendere. E non è il solo aspetto positivo di questa vicenda.

A cosa si riferisce?

Tra il governo e l’Eni ora c’è di nuovo un buon rapporto, a differenza del recente passato. C’è assoluta intesa tra le scelte adottate da questo nuovo gruppo dirigente e Palazzo Chigi. Anche se il Cane a sei zampe non è più una compagnia di bandiera, è importante che ciò si verifichi, perché l’energia è un asset fondamentale per la sicurezza di uno Stato, tanto più di una grande economia manifatturiera come quella italiana. Per questo trovo rilevante sottolineare il fatto che Descalzi e Renzi si siano incontrati e abbiano deciso che rinviare la vendita di Saipem fosse la scelta migliore non solo per l’Eni, ma per l’Italia.

A proposito di prospettive: il calo del prezzo del petrolio mette a rischio molti investimenti. Saipem ed Eni continueranno a soffrire?

Non più delle altre compagnie. Il prezzo non scenderà oltre una certa soglia, che le compagnie prevedono sempre in anticipo nelle loro stime prudenziali. Ciò non significa che non vi sia un effetto sugli investimenti, specialmente quelli che riguardano le attività estrattive più costose, come quello dello shale. La vera particolarità di questo momento non è la crisi dei prezzi nell’Opec o la crisi economica, ma il fatto che per la prima volta nella storia che questi due fattori – politico ed economico – si combinano in modo drammatico e devastante. Gli effetti sono molteplici e toccano in particolar modo i ceti meno abbienti: dopo tanto tempo, assistiamo a casi di povertà energetica di massa, ovvero gente che rinuncia alla luce elettrica o al riscaldamento perché non può più permettersi di pagare la bolletta. Non accade chissà dove, ma in Europa. È questa la vera emergenza energetica.

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