Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Le politiche di sostegno dell’area Euro sono state, finora, di due tipi: i finanziamenti ai singoli Paesi in crisi e le politiche di austerità. Bene: l’austerità è limitata e cieca, poiché non può non colpire il grano e il loglio contemporaneamente, e peraltro, come è ormai dimostrato da molti economisti, i bilanci pubblici, come l’acqua, sono incomprimibili. C’è il diritto acquisito che diviene intoccabile, c’è il sostegno a questo o quell’ospedale, i cui costi non sono prevedibili alla fonte, o a una università che ha comunque costi fissi, c’è infine il “costo della politica” legale.
L’austerità ha poi come effetto di contrarre i consumi, restringere l’area della tassazione specifica sui beni e servizi, e quindi il serpente si morde la coda, come l’ouroboros che circondava le Pleiadi nello stemma della Reggenza del Carnaro dannunziana, con il motto, oggi impossibile, “quis contra nos?”.
Quindi, l’analisi del futuro dell’Euro, almeno per l’Italia, è un problema eminentemente geostrategico, oltre che meramente finanziario. Un dato iniziale, per determinare il nostro discorso futuro: noi non abbiamo vinto la battaglia della integrazione finanziaria e monetaria, l’abbiamo persa.
Paolo Baffi, relegato dopo i noti guai alla Banca dei Regolamenti di Basilea, sosteneva che gli imprenditori italiani non ce l’avrebbero fatta ad adattarsi a qualcosa di diverso delle svalutazioni competitive. Il suo pessimismo non è stato del tutto confermato, ma il nucleo centrale della sua logica sì.
Le privatizzazioni che hanno accompagnato e, talvolta, causato la crisi finale della cosiddetta “Prima Repubblica” sono state fatte in funzione delle necessità di cassa delle nuove e vecchie forze politiche, e non di un riposizionamento nei mercati globali.
Tutta la classe politica dell’epoca ha letto l’arrivo dell’Euro come una occasione per rinnovare la corsa all’indebitamento dei conti pubblici, dato che le condizioni finali della Lira non ci permettevano altro che un triste finale argentino, come nei tanghi tradizionali di Carlos Gardel.
Il problema era che l’Euro era un progetto geostrategico, e poco più, perfino poco meno. L’Inghilterra se ne tiene attentamente fuori, non solo per mantenere il suo ranking di grande base finanziaria, conquistata dopo la perdita di Hong Kong, ma soprattutto, basta leggere i documenti britannici dell’epoca, perché non si fida della moneta unica intesa come “strumento della dominance tedesca” e come “moneta che sarà tenuta artificialmente alta” per fare concorrenza al Dollaro USA.
Come si faccia a fare concorrenza monetaria globale al dollaro rimanendo alleati degli Stati Uniti e come, soprattutto, si faccia ad avere una “global currency” senza la spada che la difenda e ne tracci il solco, obbligandone all’uso, è un mistero geopolitico poco gaudioso. Gli unici asset strategici dell’Euro sono quelli del “Tridente” nucleare francese, che non è estendibile ad interessi UE, ci mancherebbe. Un pò poco per costringere una moneta a “girare”, come insegnava Newton da direttore della Zecca londinese, che calcolava il valore della moneta in funzione della quantità dei suoi passaggi.
Euro moneta di rifugio? Quando gli iraniani, per i loro buoni motivi, hanno segnalato che dell’Euro ne avrebbero fatto uso, nella borsa petrolifera dell’isola di Kish, è successo di tutto. E’ vero, Saddam Hussein voleva passare all’Euro per fare un dispetto agli USA (e ai sauditi), ma non è certo solo questo l’innesco della crisi finale del regime bathista in Iraq. Rimane un fatto. L’Euro è moneta internazionale senza volontà strategica e francamente imperiale. Quindi, se tutto va bene, può sperare in un ruolo di succedaneo e parallelo a quello del Dollaro USA, che ha una proiezione di potere e una geopolitica del suo uso del tutto asimmetriche rispetto a quelle dell’Euro. Ma le due geopolitiche non si sovrappongono, come la mano destra e quella sinistra in Kant, e non sarà certo il nuovo Trattato Transatlantico a cambiare sostanzialmente le carte in tavola. E quando il Rublo e il Renmimbi diventeranno globali, cosa faremo, con la nostra moneta unica UE? Ci accoderemo?
Venendo all’Italia, il problema è ora uno solo: come si può mantenere una spesa pubblica ormai al limite del default e una moneta forte? Allora, o si cura radicalmente questo Stato malato, e ci vuole ben altro che l’abolizione del Senato, ma la rapidissima e totale riforma della Pubblica Amministrazione, magari sulla linea di quello che ha già scritto Sabino Cassese, oppure si decide insieme non l’uscita, che sarebbe un suicidio finanziario, ma una totale ridiscussione dei trattati che hanno dato inizio alla moneta unica. Già Guarino ci ha dimostrato, da par suo, le lacune giuridiche di tutto l’insieme delle norme sulla moneta unica, ora si tratta di mettere insieme una volontà politica, strategica, finanziaria per ripensare le forme del nostro stare insieme batte una sola moneta.
Un round di discussioni, una serie di studi di fattibilità, e poi si arrivi ad una serie di due-tre monete europee legate tra di loro da una serie di collegamenti tecnici e istituzionali.
Facciamolo ora, prima che sia troppo tardi.
Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”