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Jobs Act, ecco novità e delusioni dei decreti attuativi

Più delusioni che innovazioni. E’ questa la conclusione, dopo aver studiato i decreti attuativi del Jobs Act, di Emmanuele Massagli, presidente del think tank Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche su lavoro e relazioni industriali. Massagli è stato anche coordinatore della segreteria tecnica del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. 

Proviamo a far chiarezza sul Jobs Act. Allora, è prevalente la parte su maggiori tutele o quella sulla maggiore possibilità di licenziare? Ovvero: la riforma è più di destra o di sinistra? Oppure è di centro?
Si è fatto un piccolo passo avanti sul tema licenziamento e reintegro, ma niente a che vedere con le roboanti promesse e premesse dei mesi precedenti. In questo senso direi che la riforma è più di sinistra perché è stata questa la componente (la sinistra PD) alla fine più ascoltata nella redazione dei primi due decreti.

Ma davvero si pensa che ci possano essere più assunzioni dopo i decreti attuativi?
Se ci saranno maggiori assunzioni – ma, come si sa, ciò dipende dall’andamento dell’economia, non dalle leggi sul lavoro – dipenderà soprattutto dalla decontribuzione per tre anni prevista nella legge di stabilità, non dalle norme sul licenziamento.

Torniamo all’articolo 18. Quali sono le reali novità introdotte dal Jobs Act su licenziamenti economici e disciplinari?
Proverò ad essere comprensibile e sintetico. Licenziamento discriminatorio: reintegro più risarcimento. Licenziamento disciplinare: solo se è dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale, reintegro più risarcimento. Altrimenti come nel licenziamento economico: nessun reintegro e indennità di importo pari a 2 mensilità per anno di anzianità aziendale da un minimo di 4 (mensilità) a un massimo di 24. In caso di piccole imprese o organizzazioni di tendenza (che rientrano nel campo di applicazione) non c’è il reintegro per licenziamento disciplinare e le indennità sono dimezzate.

Qual è la parte più apprezzabile del decreto?

Senza alcun dubbio l’articolo sulla conciliazione. In caso di conciliazione l’indennità non è tassata e può essere pari a una mensilità per ogni anno di servizio fino a massimo 12 (minimo 2). Esiste quindi un vantaggio reale a conciliare. E’ il primo atto del Governo Renzi sul lavoro che coinvolge direttamente le parti sociali e, non a caso, è il migliore. Non è certo una idea sua: già la CISL degli anni Cinquanta parlava di conciliazione per superare il contenzioso. E in effetti l’unico modo per evitare la discrezionalità del giudice e l’incertezza delle sentenze è… non coinvolgere il giudice! Questo non vuol dire assolutamente minore protezione. Anzi, è solitamente segnale di maggiore responsabilità delle parti. Interessante (seppure a spese dello Stato) la norma sul contratto di ricollocazione. Interessante innanzitutto per la filosofia: finalmente un (tentativo) di nesso tra politica attiva e passiva.

Comunque al di là di dettagli e tecnicismi, e viste anche le parole da mesi ripetute da Renzi anche contro la Cgil, non pensa che l’articolo 18 è un totem ormai rottamato politicamente?
Penso che ormai sia considerato un totem anche dall’opinione pubblica diffusa, che dopo anni di crisi è più preoccupata del lavoro che continua a non esserci ora che del dibattito su una norma concepita per il mercato del lavoro degli anni Settanta. Proprio per questo i decreti potevano essere più coraggiosi: per rispondere a una esigenza reale, non politica.

È rilevante l’innovazione sui licenziamenti collettivi?
E’ forse più rilevante che l’innovazione sul licenziamento disciplinare. Anche perché impatta su una disciplina, quella del licenziamento collettivo, che non è particolarmente rigida rispetto a quella del licenziamento individuale. Se ci saranno correzioni nel corso del prossimo mese, non escludo che riguardino in primis questa materia.

Era giusto far valere le nuove norme anche per i dipendenti statali? O era impossibile? Renzi in conferenza stampa due giorni fa ha detto che la questione sarà affrontata dalla riforma Madia della pubblica amministrazione.

Da un punto di vista meramente teorico le tante differenze tra lavoro pubblico e lavoro statale sono sempre più anacronistiche e tutto sommato anche discriminatorie. E’ anche vero però che l’allineamento delle discipline ha bisogno di un disegno riformatore vero e strutturato; non basta una riga che dice che le norme sul nuovo contratto a tempo indeterminato si applicano anche al lavoro pubblico. Non vedo nel Governo il coraggio per un atto di questo genere.

In conclusione. Rispetto a parole e slogan pronunciati dal premier in questi mesi, e alla luce dei decreti, le intenzioni di Renzi si sono realizzate o in parte sono rimaste sulla carta, o meglio nel cassetto?

La riforma del lavoro è stata una continua “discesa”. Roboanti contenuti nei tweet di un anno fa. Pragmatismo comunque apprezzabile nel decreto Poletti di marzo 2014. Qualche spazip per riforme interessanti nella prima versione della legge delega. Equilibrismo politico nei decreti delegati. Peccato.

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