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Le convulsioni del “grande partito” trascinano l’Italia nel baratro

L’ammissione dell’esistenza di una “cupola” romana che governa efficacemente la gestione amministrativa dell’Italia, non può essere derubricata solo ad affare criminale che coinvolge alcuni soggetti tanto collegabili all’eversione nera quanto alle deviazioni dei servizi segreti italiani. Le parole del procuratore Pignatone nell’audizione parlamentare non lasciano dubbi: “l’indagine continuerà e presto ci saranno nuove azioni giudiziarie”. Un monito non solo e non tanto per altri sodali di coloro già arrestati ma all’intera classe politica italiana, ai dirigenti pubblici e privati che in regime di diffusa collusione hanno occupato le amministrazioni dalla fine degli anni ’70 ad oggi. Dopo la tangentopoli dei primi anni ’90 e i più recenti fatti su Expo e Mose, ancora oggi assistiamo ad un violento regolamento di conti tra i potentati creatisi all’ombra del “grande partito”. La così detta “mafia capitale” è solo la punta dell’iceberg, la parte disponibile e sacrificabile perché “di destra” e quindi facilmente identificabile perché deviante dal consenso retorico resistenziale, di un sistema molto più vasto che ha invaso e pervaso la penisola a tutti i livelli.

Sul piano politico le radici del problema risalgono al tempo degli euromissili, dell’invasione vietnamita della Cambogia, dell’invasione sovietica dell’Afganistan, dell’aggressione ai danni di Luciano Lama alla Sapienza di Roma, della tardiva e incomprensibile accettazione dello Sme e del sistema europeo da parte del Pci, dell’impossibilità per Berlinguer di compiere una scelta cosciente in senso socialdemocratico preferendo invece quella della indefinita “questione morale”, del ricatto della sinistra ingraiana nei confronti di Occhetto che alla svolta della Bolognina portava l’ingresso del Pci nel Pse, del giustizialismo di Violante negli anni ’90, della doppia sconfitta politica degli anni ‘90 inflitta da Berlusconi prima e da D’Alema poi a quel che restava della sinistra democratica raccoltasi nell’Ulivo, della trasformazione del “grande partito” in un covo di arrivisti riuniti nella famosa “merchant bank” che non parlava in inglese, della deriva “buonista” che in epoca di Giubileo mise le basi per l’istituzionalizzazione della collusione, del progressivo metodo cinico della ricerca del consenso per cooptazione e spartizione degli affari di cui le ben note Coop erano e sono ancora il sistema dominante, e del risiko economico tra banche e grandi aziende. Tutto questo ha permesso il germogliare di cupole ibride e colluse che hanno governato gli affari italiani negli ultimi 40 anni.

Scoprire oggi che un manipolo di sodali collegabili alla destra romana gestiva le amministrazioni e gli affari è non solo tardivo ma finanche fuorviante. C’è da chiedersi perché proprio ora, o solo ora, la magistratura abbia agito. Eppure erano molti anni che le cronache dipingevano la situazione che questi “manovali” della collusione avevano realizzato sul territorio e nelle amministrazioni. Sembra quasi di assistere al replay delle retate per mafia mentre i pupari erano e sono ancora in piena libertà. Si ripete la scena ma non si interviene sulle radici che l’hanno permessa e talvolta finanche occultamente facilitata.
Le misure anti corruzione dei governi, anche di quelli Monti – Letta – Renzi, sono assolutamente insufficienti e demagogiche. In questo hanno ragione i magistrati che delusi dalle decisioni politiche fanno sapere che le leggi sulla prescrizione e sul falso in bilancio sono panacee indegne di un vero stato di diritto, oltre a segnare una grande distanza tra altri sistemi democratici e l’Italia.

Si ha l’impressione che le recenti indagini giudiziarie siano stranamente coincidentali a congiunzioni di interessi interni ed esterni al paese. Un modo per deviare la rabbia popolare per la perdurante e crescente crisi economica e sociale ma allo stesso tempo per tenere l’Italia sotto scacco per manifesta inaffidabilità nella gestione della cosa pubblica. Sembra evidente che quando Renzi ha improvvisamente portato il suo PD nel Pse aveva già sentore del caos che sarebbe venuto. Creatasi “l’assicurazione europea” Renzi ora non può che sfruttare il momento di lotta interna al potere politico per sparigliare le carte, azzerando l’ignobile parlamento dei nominati e andare rapidamente a nuove elezioni.

Un azzardo che può anche portare l’Italia nel baratro.

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