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Come muoversi dopo lo sciopero generale

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Viviamo un tempo strano. Uno sceneggiatore che sa di cinema, come Enrico Vanzina, riferisce dell’impressione “di vivere in attesa di qualcosa che sta per arrivare e che ancora non arriva”, evocando “Il deserto dei Tartari” scritto nel 1940 da Dino Buzzati. Un sociologo che studia il presente, come Giuseppe De Rita, ci raffigura, nell’ultimo rapporto del Censis, “una vita quotidiana sempre più intrisa di rassegnazione, di sospensione delle aspettative”. Un giornalista che scrive di economia, come Roberto Napoletano, mentre passeggia con la moglie per il centro di Milano, annota che “la voglia di spendere fa fatica a tornare; anche chi può sembra quasi frenato; manca ancora quella fiducia contagiosa che solo la sicurezza del lavoro e la serietà dei comportamenti possono restituirci”.

Anche noi che facciamo sindacato ci rendiamo conto che la politica sembra, il più delle volte, voler fare a meno delle rappresentanze e dei corpi intermedi. Lo si percepisce anche dopo il grande sciopero generale dello scorso 12 dicembre. Siamo orgogliosi di aver portato in piazza le ragioni della fabbrica, caratterizzate dalla quotidiana fatica dei metalmeccanici che il lavoro ce l’hanno, o che rischiano di perderlo a causa della crisi. Ma rimaniamo altrettanto perplessi quando ci ritroviamo eroicamente a cercare vie di dialogo con chi da molti mesi ha cercato di disintermediare il rapporto tra i vertici esecutivi e i semplici cittadini.

Eppure, dobbiamo continuare in questa ricerca testarda, perché ciò che non arriva e, molto probabilmente ancora non giungerà nel 2015, è proprio la ripresa. Sovente ci definiamo un’organizzazione laica e riformista, ma sono proprio questi attributi ad imporci di saper coniugare il sano riformismo con un laburismo delle opportunità. Solo riuscendo nell’impresa potremo annoverarci tra quei riformatori impegnati a rivedere strategie e dinamiche di confronto.

Non ci sono altre strade rispetto alla stagnazione che vive l’Europa e al possibile scivolamento verso una deflazione strutturale. Si tratta di una condizione che riguarderà l’intero continente se non verranno prese misure utili a far ripartire il processo di ripresa,in particolar modo a in ambito industriale e manifatturiero. Avverte il giornalista Daniele Manca: “La recente bocciatura del nostro debito pubblico da parte di ‘Standard & Poor’s ha portato le stime dell’aumento del Pil ad un più 0,2% nel 2015”.

Suggerisce l’economista Alberto Quadrio Curzio: “La strategia di crescita passa attraverso il rilancio degli investimenti infrastrutturali finanziati a livello dell’Eurozona”. Aggiunge l’economista Marcello Messori: “Gli investimenti devono essere legati a riforme strutturali di lungo periodo per innescare flussi di finanziamenti privati”. Ribadisce l’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi: “Bisognerebbe cominciare dalla svalutazione dell’Euro nei confronti del dollaro, fino al crollo delle importazioni di prodotti energetici in conseguenza della diminuzione del prezzo del petrolio”. Nella lista delle cose da fare, ne va inserita un’altra alla portata di ciascuno:occorre ritornare a fare progetti e a condividerli.

E’ l’unico modo per riannodare i fili dell’arte della guida, rispetto a quelli di mero comando. Pure così si genera lo sviluppo. E realizziamo un tempo diverso.

Antonello Di Mario, Direttore di “Fabbrica Società”


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