Non c’è un problema di interpretazione di gesti e parole del Papa, osserva a Formiche.net Roberto De Mattei, già vicepresidente del Cnr e direttore delle riviste “Radici Cristiane” e dell’agenzia di informazione “Corrispondenza Romana”. Ma il nodo riguarda il merito della “debolezza dei suoi discorsi a Strasburgo e Ankara”. Secondo l’esponente del mondo tradizionalista cattolico non esiste un “effetto Socci” così come sottolineato da Massimo Introvigne in una intervista a Formiche.net, ma “confusione e disagio” dopo il gesto verso il Patriarca Ortodosso.
Qual è secondo lei il bilancio della visita del Papa in Turchia?
Innanzitutto bisogna leggere quella visita alla luce della precedente fatta a Strasburgo dove, al cuore delle istituzioni europee, proprio Ankara ha bussato. Ecco che si pongono una serie di questioni: la prima sull’identità cristiana dell’Europa, la seconda su quella stessa della Turchia. Ci troviamo di fronte ad un’Europa le cui radici cristiane sono estremamente deboli, per non dire del tutto assenti. Sotto questo aspetto ho trovato deludente il discorso del Papa a Strasburgo.
Per quali ragioni?
Non tanto per quello che ha detto, ma per ciò che non ha detto. E’ stata una grande occasione mancata, con un discorso più politico che profetico. Bergoglio aveva di fronte a sé l’assemblea dei rappresentati di tutte le Nazioni europee: quale platea migliore per denunciare il male contenuto nella dittatura del relativismo che oggi minaccia le radici cristiane d’Europa? Invece mi sarei aspettato dal Papa parole forti contro la teoria del gender che oggi dilaga. O contro la persecuzione dei cristiani nel mondo, come un appello pubblico che avrebbe avuto un effetto significativo. Avrebbe potuto invitare, ad esempio, tutti i parlamentari europei a sottoscrivere una petizione.
Torniamo alla Turchia.
La debolezza del discorso papale di Strasburgo ha fatto da sfondo ad una Turchia che in questo momento rivendica con orgoglio la propria identità islamica, forte, dove senza dubbio confluisce l’eredità secolarista di Ataturk, ma accompagnata dall’antico sogno imperialista ottomano; e il cui cemento è rappresentato dall’islamismo. Di fronte a questo, Benedetto XVI da Cardinale aveva manifestato a suo tempo molte perplessità, come sul possibile ingresso turco nell’Ue.
L’inchino al Patriarca di Costantinopoli segue le aperture di San Giovanni Paolo II?
In un clima naturalmente di dialogo, il discorso del Papa in Turchia poteva essere l’occasione di confronto per rivendicare in territorio turco le radici cristiane d’Europa. Si sarebbe così lanciato un messaggio del genere: non si può immaginare che la Turchia entri nell’Ue inalberando con forza la propria identità islamica, pretendendo al contempo che l’Europa rinunci alla propria. E’ in questo contesto che a mio parere si inserisce l’episodio con Bartolomeo I.
Come pesa quel gesto?
Sicuramente ha creato una certa confusione, non tanto di ordine pubblico ma nel suo interlocutore.
Perché?
In quanto non è possibile immaginare, per un cattolico, che il Papa compia questo gesto rinunciando a quello che è: non solo ad un primato di onore ma anche di giurisdizione della Chiesa Cattolica. Nelle dichiarazioni successive all’incontro, il Patriarca ha ribadito con forza la concezione ortodossa dei rapporti tra le due chiese. Dal punto di vista dei risultati concreti, non mi sembra che quel gesto abbia prodotto dei passi in avanti nel dialogo, ma eventualmente ha seminato confusione e disagio tra chi vi ha assistito.
E’ vero, come ha ricordato da queste colonne Massimo Introvigne, che sarebbe utile evitare polemiche per non alimentare il cosiddetto “effetto Socci” sui gesti e parole di Bergoglio?
Credo che il dibattito su questi argomenti non debba essere ermeneutico, ovvero sull’interpretazione dei gesti, ma dovrebbe basarsi sulla realtà dei fatti. Gesti, atti e omissioni hanno per la loro portata simbolica un significato più forte dei discorsi. Penso al forte impatto che ha nel mondo una fotografia, mentre un discorso, anche ampio e articolato, lascia il tempo che trova. Per cui l’immagine della benedizione impartita dal Papa a Bartolomeo esprime un impatto di parità fra le due Chiese. Quindi non tocca a noi spiegarlo, ma al Papa. Se di questo gesto i media daranno una lettura distorta allora dovrà essere Bergoglio, in prima persona o tramite la Segreteria di Stato, a correggere la cattiva interpretazione.
In caso contrario?
Ci si perderebbe nei labirinti dell’ermeneutica di cui ognuno di noi si fa interprete. Personalmente ignoro quali siano pensieri e intenzioni del Papa, ma dico che le immagini sono dei fatti. E contro i fatti purtroppo non ci sono argomenti.
Le parole contro il genocidio armeno sono giunte solo sul volo di ritorno: giusto così?
Anche questo elemento conferma un approccio più politico che profetico-soprannaturale della missione pontificia da parte di Bergoglio. Un atteggiamento che si può comprendere da un profilo diplomatico. Ma se Papa Francesco, così come altri suoi predecessori hanno fatto, intendesse dare al proprio pontificato un carattere più religioso, probabilmente dovrebbe farlo in modo diverso.
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