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Perché i Dieci Comandamenti alla Benigni non mi hanno convinto

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

C’era molta attesa per lo spettacolo di Roberto Benigni sui «Dieci Comandamenti» della Bibbia. Il grande comico s’è mostrato in piena forma e la sua abilità clownistica è parsa rafforzata, col suo abile mix di realismo e surrealismo. Sarebbe ingiusto rimproverargli il modo come ha affrontato un argomento così impegnativo come le Tavole della Legge.

Uomo di palcoscenico, ha rispettato le regole richieste dallo spettacolo: un immenso tavolato tutto suo, davanti ad un leggio musicale aperto e vuoto, circondato da gradinate lignee piene di circenses non di rado freddi e stupiti.

E lo ha fatto con l’abile dosaggio tra una religione immersa nel mistero impenetrabile e la cronaca dura e spietata dei nostri giorni: il conflitto tra il modello perenne della morale e la violazione continua, oggi esasperata, dei comandamenti.

La polemica politica, che pur non è mancata, è stata assai contenuta anche nei toni, quasi tristemente trascesa dall’amarezza dell’amante tradito. Ne ha guadagnato la trasmissione, che ha silenziato i vecchi esasperati anatemi, premiando l’intelligenza e l’eleganza. Oggi non c’è più la destra come capro espiatorio dei mali italici, insistere su Berlusconi è perdere tempo; ma il marcio è in ogni partito e istituzione: «tutti hanno rubato, meglio buttarsi su Dio».

Benigni non esclude i soldi, purché guadagnati onestamente col lavoro. Egli ha offerto alla Rai non solo la sua consumata professionalità, ma anche la produzione dello spettacolo, tramite la Melampo, sua e di sua moglie: una efficiente Casa Produttrice, il cui nobile fine, dice la moglie di Roberto, Nicoletta Braschi, non è tanto quello di fare soldi, quanto piuttosto la difesa «della piena libertà di gestire autonomamente ogni scelta estetica». La Rai pensa di introdurre il divieto di commissionare spettacoli a società gestite da agenti degli attori coinvolti. Presto ci sarà, ci viene annunciato da anni.

Un Benigni ancora scatenato nei movimenti ma ridondante nella parola, meno comico che devoto, più pacato che polemico, alle «feste dei folli» ora preferisce gli esercizi spirituali. Il quotidiano della Cei, «Avvenire», è rimasto entusiasta della trasmissione: «Solo Benigni poteva riuscire nell’ambizione temeraria di misurarsi in prima serata su Raiuno su un tema alto, altissimo, incommensurabile». «Famiglia cristiana» lo ha messo in copertina: «La Bibbia fa bene alla salute». Sarà, ma qualche perplessità rimane. Perché la trasmissione ha piuttosto testimoniato il «Sunset boulevard» del papa guitto, del commesso viaggiatore del cuore, del bardo della sinistra buona, del funambolo dei sentimenti.

Per essere credibile, Benigni ha cercato di farsi sacerdote di campagna. Non solo nel linguaggio, semplice e di buon senso, ma anche nel look, simile alle mises dei preti postconciliari. Certo, non si è ispirato al famoso modello della bassa emiliana, quello di don Camillo col suo sottanone, è diventato un don Benigno di qualche isolotto progressista. Ignaro, però, di ciò che insegnano i preti rurali, che le prediche devono essere brevi.

Non così il loquacissimo Roberto, la cui omelia è stata troppo lunga, pletorica e ripetitiva. Benigni ha intrattenuto, un po’ stancamente, i telespettatori per ore, trasformando lo spettacolo in una esibizione piuttosto stucchevole, a metà tra la lezione teologica e la predica domenicale. Non pochi si sono addormentati davanti al teleschermo, qualcuno, purtroppo, con la sigaretta accesa.


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