Quanto conta, se conta, la fede cristiana di Matteo Renzi nel suo modo di fare politica? Civiltà Cattolica torna sul presidente del Consiglio. Sull’ultimo numero in uscita sabato 6 dicembre, la rivista dei gesuiti fa un bilancio della sua azione di governo. E soprattutto si interroga sulla sua visione da credente.
PREGI E DIFETTI
L’analisi firmata da padre Francesco Occhetta evidenzia gli aspetti più positivi dell’esecutivo Renzi come le nuove nomine dei funzionari consiglieri e consulenti “al di là degli antichi monopoli di potere”, i provvedimenti su terzo settore e Jobs Act, il disegno di legge sulla revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di anticorruzione, pubblicità e trasparenza, il riassetto delle province e l’attenzione all’ambiente. Viene lodata inoltre la tempestività del governo in favore delle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia Romagna a maggio 2012.
Tra le criticità, la rivista sottolinea la riforma delle tasse sulla proprietà immobiliare, la cosiddetta Tasi che ha creato “un clima di incertezza” e la mancanza di una base giuridica adeguata per alcune delle riforme annunciate, come lo “Sblocca Italia”. Una visione dunque bilanciata tra pregi e difetti quella dei Gesuiti ma comunque di apertura verso il presidente del Consiglio.
UN “CATTOLICO LIBERALE”
Civiltà Cattolica prova ad andare oltre l’“eterno presente” con cui giornali e tv tendono a raccontare il Paese e la politica e si chiede quale tipo di cultura il renzismo porta con sé, quanto essa sia permeata dalla fede cristiana di Renzi. In un recente consiglio nazionale del Pd, il premier ha dichiarato di essere un “cattolico liberale” e di ispirarsi a Gilbert Chesterton. Scrive Occhetta: “Dell’autore inglese, di cui ha senz’altro letto il romanzo Il Napoleone di Notting Hill, riprende l’idea del ‘distributismo’ e delle ‘piccole patrie’ (le piccole comunità), che, custodendo i valori (religiosi) e una dimensione umana e relazionale, rispondono alla crisi dello Stato accentratore, burocratico, anonimo. Chesterton lo ispira anche per le battaglie che sono descritte nelle sue opere contro gli oligopoli capitalisti della finanza”.
Un’idea ispirata al giovane rottamatore da uno dei suoi riferimenti politici come De Mita che in un Congresso Dc dell’86 propose un liberalismo mitigato in sintonia con i principi della dottrina sociale della Chiesa, ricorda Occhetta.
Nel rapportarsi con le sue radici cristiane, Renzi ha opposto comunque una sua indipendenza, ricorda Civiltà Cattolica, riportando le sue parole in un’intervista a Famiglia cristiana: “La mia fede arricchisce tutto quello che faccio, perché credo nella risurrezione. Da cattolico impegnato in politica non mi vergogno della mia appartenenza religiosa. Al contempo, non rispondo al mio vescovo o alla gerarchia religiosa, ma ai cittadini che mi hanno eletto”. E non ha mancato di tirare una stoccata ai cattolici: “Sembra che tutto l’impegno dei cattolici in politica sia riconducibile soltanto ai temi etici […]. Non si trovano più, per esempio, le parrocchie dove si fanno scuole di formazione politica. Io ne avrei avuto bisogno, ma purtroppo non l’ho avuta e mi dispiace tanto”. E ancora: “Ma ancora più in basso si colloca chi utilizza la propria fede per chiedere posti. Per pretendere posti. Per reclamare posti non in virtù delle proprie idee, ma della propria confessione”, ha detto a Repubblica.
LA DOMANDA FINALE DEI GESUITI
La conclusione che scelgono i Gesuiti è dubitativa: “Il baricentro a cui punta Renzi è strettamente intrecciato con la radice cattolica; è dunque una ‘radice che nutre’ e non una presenza organizzata che ispira un’azione del mondo cattolico, nonostante permanga un legame profondo della società con la cultura e la tradizione cattolica. Può bastare?”, si chiede Civiltà Cattolica, lasciando a Renzi indirettamente la risposta: “Più che gli intenti, saranno le scelte a provarlo. Aspettiamo di comprendere quale antropologia e quale modello di società vuole costruire la cultura renziana”.