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Sciopero generale, tutti gli errori di Camusso e Barbagallo

Questo commento è stato pubblicato oggi su L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Quando un grande sindacato mobilita la sua gente per lo sciopero generale, e lo fa in un momento di crisi economica e di lavoro mancante, precario o insufficiente che non ha precedenti, non ha molto senso stabilire se la protesta fosse giusta o sbagliata. Da oltre un secolo il diritto a incrociare le braccia è il presupposto elementare per dare voce a chi ha meno voce, gridando in piazza tutti i suoi “no” a contratti, comportamenti, rapporti di lavoro considerati ingiusti.

Ma proprio perché nessuno dovrebbe chiedere all’esperta Susanna Camusso e al nuovo Carmelo Barbagallo “perché l’hanno fatto?”, essendo diritto-dovere delle rispettive Cgil e Uil rappresentare come credono il dissenso dei loro iscritti, un’altra e diversa domanda forse è opportuna, ora che la mobilitazione nazionale è finita, ed è finita anche fra tensioni a Milano e a Torino: che cosa speravano di ottenere?

Se l’obiettivo, come sembra, era contestare la già approvata riforma del lavoro, la manifestazione è stata tardiva. Per quanto arrabbiato, lo sciopero non cambierà di una virgola la Gazzetta Ufficiale, che dà vigore e valore alle leggi dello Stato. Né potrà rimettere in discussione in Parlamento quel che il Parlamento ha appena deciso.

Se invece il fine, e sembra anche questo, era di contestare la politica economica del governo, o addirittura la politica del governo in quanto tale, lo sciopero è ideologico, cioè fuori-posto. Spetta solo ai cittadini elettori giudicare gli atti e le parole – si spera sempre più atti e sempre meno parole – di Matteo Renzi e della sua maggioranza. Al già verboso premier non può rispondere un ancor più verboso sindacato con la sua montagna di slogan d’altri tempi, mentre il tempo di oggi è quello dei problemi da risolvere.

Se, infine, i due sindacati su tre (la Cisl, si sa, s’è dissociata), intendevano difendere il famoso e ormai fumoso articolo 18, l’obiettivo è comprensibile, ma incompleto. Nessun esecutivo potrebbe decretare che licenziare la gente sia bello e giusto, e meno ancora un governo guidato da un partito, il Pd, che ai lavoratori è vicino per tradizione ed elezione.

Invece la novità che dovrebbe essere colta e raccolta da chi rappresenta i ceti più deboli, è come tutelare la marea dei non protetti, giovani e donne su tutti. Come incoraggiare gli imprenditori a investire e assumere. Come rendere sicuro non il posto, ma il diritto ad avere un posto per tutta la vita. Neanche Renzi e la sua riforma hanno la verità in tasca. Ma il sindacato li aiuti a cercarla, la soluzione ai problemi del mondo che cambia.

f.guiglia@tiscali.it

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