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Come si muove quel furbacchione di Renzi tra Quirinale e Italicum

Matteo Renzi gioca con le scadenze, o urgenze, come il gatto con il topo. Sospettato fuori e dentro il suo stesso partito di volere andare alle elezioni anticipate il più presto possibile, non appena riuscirà – se mai vi riuscirà davvero – a insediare al Quirinale un presidente della Repubblica disposto a delegittimarsi sciogliendo le Camere che lo hanno appena eletto, egli ha pensato di potere rasserenare gli animi con la proposta di fare entrare in vigore solo nel 2016 la nuova legge elettorale che vorrebbe fare approvare in poche settimane, o quasi.

Ma chi può mai credere ad una rassicurazione del genere, date le urgenze o scadenze variabili alle quali il presidente del Consiglio ha ormai abituato amici e nemici? Proviamo a rinfrescarci la memoria.

Per farsi perdonare l’ormai famoso e beffardo “stai sereno” rivolto all’allora presidente del Consiglio e collega di partito Enrico Letta, quando già da nuovo segretario del Pd si preparava a scalzarlo da Palazzo Chigi, Renzi annunciò formalmente al Parlamento l’intenzione di arrivare sino alla scadenza ordinaria della legislatura, nel 2018. E chiese a Silvio Berlusconi, pur avendone da poco sostenuto e ottenuto la decadenza da senatore, di dargli una mano dall’opposizione, con i parlamentari di Forza Italia, sul terreno delicatissimo delle riforme istituzionali e di quella elettorale, senza trascurare i dintorni.

Passarono pochi mesi e già la prospettiva elettorale del 2018 fu annacquata. Sempre in modo solenne, davanti al Parlamento, mani in tasca e petto in fuori, il presidente del Consiglio si diede “mille giorni” di tempo per portare a termine il suo compito, o per fare un bilancio della sua azione di governo. Conti alla mano, i mille giorni portavano al 2017, un anno prima della scadenza ordinaria della legislatura.

Vista poi la combinazione tanto contraddittoria quanto preoccupante, almeno per lui, fra il favore dei sondaggi e delle urne di turno, pur al netto di un’affluenza minore, e la persistenza della crisi economica, con il conseguente rischio di decisioni impopolari, Renzi ha cominciato ad essere o ad apparire – che in politica è la stessa cosa – tentato dalla opportunità di anticipare le elezioni generali già alla primavera prossima. Le condizioni obbiettivamente precarie dei suoi avversari o concorrenti, reali e potenziali, sono state un ulteriore incentivo all’idea di accelerare il ricorso alle urne, possibilmente con la nuova legge elettorale approvata dalla Camera, lasciata marcire per mesi in commissione al Senato e improvvisamente rimessa in cammino con notevoli modifiche, ma anche senza aspettare le nuove norme, essendo in vigore quel che è rimasto della vecchia legge “Porcellum” dopo i tagli apportati dalla Corte Costituzionale.

Le tentazioni elettorali di Renzi, per quanto smentite a parole dall’interessato, hanno colto il quasi novantenne presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una fase più che comprensibile e nota di stanchezza fisica. Alla quale probabilmente si è aggiunta la preoccupazione del capo dello Stato di trovarsi a breve scadenza di fronte a situazioni politiche da lui né volute né condivise: per esempio, una crisi di governo cercata e provocata con l’obbiettivo di precluderne una soluzione diversa dallo scioglimento anticipato delle Camere. E Napolitano ha pensato di tirarsene fuori in tempo, predisponendosi alle dimissioni non appena finito il semestre di turno di presidenza italiana dell’Unione Europea e promulgate due leggi importanti e dovute: quella di stabilità finanziaria e quella di delega al governo per la riforma del mercato del lavoro, decisiva per le valutazioni che la Commissione europea si è riservata di fare sull’Italia.

Anziché fermarsi davanti all’ostacolo intervenuto e affrontare l’urgenza imposta del Quirinale, Renzi si è impegnato in un singolare ma vuoto braccio di ferro sui tempi di approvazione della nuova legge elettorale. E ignora, o finge di ignorare perché evidentemente non si sente ancora preparato all’appuntamento, che le sue prospettive politiche dipendono ormai da come sarà sciolto il nodo della successione a Napolitano. Una successione condizionata dalle tentazioni renziane delle elezioni anticipate, ma anche dal diffuso e comprensibile interesse delle Camere a non precostituire le condizioni di un loro scioglimento prematuro. L’interesse cioè delle Camere a non eleggere un loro becchino. Il problema è tutto qui. Il resto è apparenza. O tattica.


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