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Perché per salvare l’Unità il Pd ha preferito Guido Veneziani a Matteo Arpe?

Tutto bene quello che finisce bene, dunque, per l’Unità? Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, testata storica della sinistra e organo dell’ex Pci, sta per risorgere. Infatti, a quattro mesi dalla sospensione delle pubblicazioni, il Pd annuncia con un certo trionfalismo che l’editore prescelto ha pure ritoccato l’offerta.

LE PAROLE DEL TESORIERE

Il tesoriere renziano del Pd, Francesco Bonifazi, ha detto che la fondazione Eyu e l’editore Guido Veneziani hanno “ripresentato l’offerta” per rilevare il quotidiano. La proposta, ha rimarcato Bonifazi, “è estremamente migliorativa rispetto alla precedente”, che era stata ritenuta inidonea dai liquidatori, e “interamente garantita da un primario istituto di credito italiano”.

L’OFFERTA DI VENEZIANI

Veneziani ha messo sul piatto dieci milioni per salvare l’Unità. E’ stata così formalizzata ieri, ultimo giorno utile fissato dai liquidatori, l’offerta di acquisto formulata dall’editore Guido Veneziani, d’intesa con il Pd. In base alla proposta, l’editore di riviste come Stop, Vero, Rakam e Miracoli punta a diventare socio di maggioranza della nuova società editrice dell’Unità, nella quale entra anche la fondazione di recente costituita dal Pd, con una quota del 5% (rispetto allo 0.069% con cui era presente nella Nie). I 10 milioni messi sul piatto da Veneziani servirebbero a pagare tutti i crediti privilegiati e a sanare la procedura del concordato. Intanto, per accelerare i tempi di riapertura, sarebbe previsto un affitto della testata. A sostegno di Veneziani, ha scritto il quotidiano Mf/Milano Finanza, potrebbe arrivare anche il gruppo lombardo di costruzioni Pessina.

GLI IMPEGNI DEL FUTURO EDITORE

L’impegno di queste ultime ore si è concentrato sulla necessità di venire incontro alle due richieste dei liquidatori: accorciare i tempi di pagamento e soprattutto assicurare garanzie sull’intero importo, per chiudere la procedura di liquidazione della vecchia società editrice, la Nie, e riavviare l’attività della testata, che dovrebbe essere acquistata dopo una fase di affitto, come detto. L’operazione – stando alle indiscrezioni – dovrebbe perfezionarsi con la costituzione di una newco a cui parteciperebbe con una quota minoritaria la Fondazione Eyu che ha già rilevato la testata online Europa diretta da Stefano Menichini che ha cessato le pubblicazioni cartacee e ora vive solo sull’online.

NUMERI E IMPEGNI 

Da definire piano editoriale e ricadute occupazionali: la vertenza coinvolge 90 persone, tra cui 66 giornalisti e 17 poligrafici, ha ricordato Angela Majoli dell’Ansa. Nei giorni scorsi, Veneziani ha annunciato l’intenzione di fare dell’Unità “un giornale popolare” e non ha escluso un organico “più snello”. Questioni cruciali per i lavoratori dell’Unità che, pur salutando con sollievo la svolta, hanno chiesto “un serio e solido progetto di rilancio, un piano editoriale che tutelando il profilo politico di sinistra del giornale e il suo ancoraggio culturale sia in grado di costruire il futuro dell’Unità e di garantirne il ruolo centrale nel panorama editoriale”.

MUGUGNI UNITARI 

Eppure non tutti tra i giornalisti dell’Unità osservano con entusiasmo l’esito. “Che ci azzecca con il nostro quotidiano un imprenditore che pubblica testate gossippare come Stop e Vero?”, sibila più di un collega del quotidiano fondato da Gramsci. In molti si chiedono perché, ad esempio, il Pd abbia preferito la proposta di Veneziani a quella avanzata dal banchiere Matteo Arpe di Sator. “Veneziani garantisce una direzione renziana, la proposta di Arpe non la garantiva”, taglia corto un giornalista dell’Unità che preferisce l’anonimato. Sarà così? Secondo la ricostruzione di Formiche.net, il banchiere ex Capitalia, che fra le varie partecipazioni tramite Sator ha anche un piede nell’editoria visto che è socio di Banzai e della casa editrice del sito Lettera 43, aveva le idee chiare per rilanciare l’Unità.

CHE COSA PROPONEVA ARPE

Oltre alla offerta economica, Arpe aveva indicato un sistema di governance del giornale in grado di non rendere il giornale troppo dipendente dai mutevoli equilibri interni del Pd. Infatti, ad esempio, la nomina del direttore del quotidiano era stata così prevista, come è stata illustrata per sommi capi alle varie componenti del Pd (e non solo a quella renziana): il direttore sarebbe stato nominato dal consiglio di amministrazione in base a una rosa di nomi indicata da 3 saggi, uno soltanto dei quali sarebbe stato nominato dal Pd. In questo modo, ovviamente, sarebbe venuto meno il tradizionale potere assoluto di nomina del direttore da parte del vertice del partito.


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