È possibile, forse anche probabile, che alla prossima assemblea degli azionisti di qualche grande banca quotata si parlerà di climate change come verosimilmente non si era mai fatto. In particolare, di come i finanziamenti bancari tengono conto di quanto i progetti e le imprese che si vanno a finanziare contribuiscono ad alimentare il fenomeno dei cambiamenti climatici.
Se dovesse accadere non sarebbe un caso, bensì una conseguenza di quella che si può considerare la prima iniziativa di engagement collettivo realizzata da investitori istituzionali in Italia su temi di sostenibilità. Un’iniziativa promossa da Assofondipensione e stimolata in particolare dal Fondo pensione Cometa, che ETicaNews aveva anticipato l’estate scorsa quando stava scaldando i motori. E che ha fra i suoi punti di forza quello di muoversi in parallelo con un’analoga e più ampia iniziativa internazionale promossa nell’ambito di Un Pri, la piattaforma delle Nazioni Unite per gli investimenti responsabili.
I fondi pensione hanno in sostanza posto alle banche la questione anticipata più sopra. E le banche hanno iniziato a rispondere. «A livello internazionale – spiega Maurizio Agazzi, presidente del Forum per la finanza sostenibile (Ffs) e direttore generale di Cometa Fondo, che è co-leader a livello europeo del progetto che invece nel mondo vede nel ruolo di regista gli statunitensi di Boston Common Asset Management – l’iniziativa è stata sottoscritta da un’ottantina di investitori, che complessivamente rappresentano 540 miliardi di dollari di asset gestiti. Quasi tutte le 63 banche a cui è stata inviata la richiesta di informazioni hanno risposto per iscritto». Certo, la “potenza di fuoco” messa in campo dalla coalizione di investitori è notevole e sarebbe di stimolo per qualunque soggetto investito, ma si tratta di un risultato in ogni caso importante. Specie se si pensa che il binomio banche-climate change non è proprio uno dei più scontati.
Di peso anche i numeri che sta registrando l’iniziativa italiana. «Sono 14 – prosegue Agazzi – i fondi pensione che hanno aderito, con 23 miliardi di dollari di patrimonio gestito complessivo. La lettera è stata inviata a 40 banche e una decina hanno già risposto».
Difficile dire se si assisterà a un’azione cosiddetta di hard engagement, vale a dire di forte protagonismo di qualche fondo pensione con intervento in assemblea magari in rappresentanza dell’intera coalizione. Forse non è ancora il momento per una cosa del genere, o forse potrebbe non essere efficace.
Di sicuro c’è che in Italia si cercherà, giustamente, di procedere fianco a fianco con l’iniziativa internazionale, anche per sfruttare ogni possibile sinergia. Il che non fa che rendere l’intero progetto ancora più interessante. «Abbiamo iniziato a esaminare insieme a Boston Common Asset Management la qualità delle risposte pervenute – sottolinea ancora Agazzi in riferimento all’iniziativa internazionale -, dopodiché si avvierà il dialogo con le banche. Ugualmente, in Italia, stiamo esaminando le prime risposte. Una volta conclusa questa analisi, il dialogo dovrebbe partire dopo il primo trimestre dell’anno. Come Cometa (che a fine 2014, anche per testimoniare la volontà di continuare a impegnarsi su questi temi, ha aderito a CDP-Carbon Disclosure Project, ndr), presenteremo i risultati dell’analisi tra fine marzo e inizio aprile».
A parte gli effettivi risultati che questo primo tentativo di engagement collettivo in Italia riuscirà a produrre, e al momento pare lecito attendersi che possano essere rilevanti, c’è da chiedersi più che altro se tutto ciò ha smosso un po’ le acque. Cioè se l’engagement come modo di intendere e praticare la finanza socialmente responsabile è diventato almeno un po’ più conosciuto, se non apprezzato, nella community degli investitori istituzionali del Belpaese. «Sicuramente è stato importante realizzare questa prima iniziativa nazionale e avere il supporto di Assofondipensione – risponde Agazzi -. Ci sono poi aziende già impegnate sulle questioni legate al clima che hanno guardato con favore all’iniziativa. E ci hanno invitato a discutere di questi temi anche su altri tavoli. Insomma, si comincia a fare rete».