Quante misteriose manine nella politica italiana dell’era renziana. C’è quella che ha ispirato il famoso codicillo salvaberlusconi inserito nel Consiglio dei ministri della vigilia di Natale e frettolosamente ritirato; quella che ha decretato la condanna a morte del voto capitario nelle banche popolari ricorrendo a un decreto legge senza che vi fosse la minima urgenza; quella che ha guidato (secondo Il Fatto) la mano del senatore Stefano Esposito, autore del canguro spazzaemendamenti sulla legge elettorale. Ma ce n’è anche un’altra che è stata tesa nel giugno dell’anno scorso e della quale sinora ci si è occupati poco: eppure, proprio in questi giorni, qualcuno ne sta apprezzando la stretta amichevole. La manina è quella che ha fatto passare il cosiddetto voto maggiorato.
Nel giugno dello scorso anno il governo ha varato il decreto per la competitività, convertito in legge in agosto. Una parte riguardava i diritti di voto nelle società per azioni quotate e non. In sintesi il testo ha sancito la fine, per le spa presenti nel listino, del principio che sempre ha assegnato a ogni singola azione, da chiunque detenuta, il diritto a un voto nella governance societaria. Non sarà sempre così in futuro perché con quella legge è stato introdotto un premio di fedeltà: a chi possiede azioni da oltre 24 mesi potrà essere attribuito un voto maggiorato fino a un massimo di due azioni per ogni azione detenuta. In soldoni, chi ha un portafoglio da almeno due anni un’azione potrà votare per due. Per attuare il decreto occorre che le società interessate convochino assemblee straordinarie e modifichino lo statuto in tal senso. Alcune lo stanno facendo: la prossima settimana toccherà a Campari, Amplifon e Astaldi. Tutte e tre fanno capo a famiglie che così potranno raddoppiare la loro presa sui rispettivi gruppi.
La ratio di questa misura governativa è premiare gli investitori di lungo termine a scapito degli speculatori. Un intento condivisibile, per carità. Tuttavia è interessante notare come il capitalismo renziano preveda la possibilità di pagare uno e portare a casa due. Con una trovata simile Enrico Cuccia, laborioso tutore della finanza italiana e massimo esperto in magheggi societari, avrebbe sistemato alcune generazioni di capitalisti nostrani. Diceva il consigliere delegato della Mediobanca: “Le azioni non si contano, ma si pesano”. A 15 anni dalla sua scomparsa, questa filosofia è diventata legge dello Stato.
La domanda che viene spontanea è: chi ha suggerito a Matteo Renzi di introdurre una simile norma, che nulla ha a che fare con la competitività, nel decreto del giugno scorso che proprio alla competitività era indirizzato? Chi è stato il pesce pilota? Si tratta degli stessi azionisti di Campari, Amplifon e Astaldi lobbisticamente associati? Improbabile siano in grado di architettare e mandare a buon fine un’operazione politica di tale portata. I tre soggetti in questione hanno piuttosto approfittato, a pieno diritto, di una legge, ma non ne sono stati gli ispiratori.
Chi, allora? Forse la pista va cercata nel mondo delle banche, dove sono molte le partite di governance aperte già oggi o che si apriranno in un futuro non lontano. Ecco, chi ha concepito e fatto introdurre nel decreto del giugno scorso il premio fedeltà per azionisti, puntava e punta a un bersaglio di questo tipo. E una mano, o meglio una manina, gli arriverà dall’altra misura varata pochi giorni fa dal governo per abolire il voto capitario nelle banche popolari. Il presidente del Consiglio tiene molto a questa rottamazione, tanto da aver fatto ricorso al decreto legge, normalmente usato nei casi di urgenza, qui assente. Se la misura passerà superando le forti opposizioni sollevate, allora Renzi metterà le mani nel potere reale. Sarà interessante.
P.S. Anche se la rottamazione del capitario non dovesse riuscire, un risultato l’ha comunque ottenuto. Come scrive il Corriere della Sera oggi, qualcuno era informato del progetto e, da Londra, ha acquistato a man bassa azioni delle banche popolari realizzando simpatiche plusvalenze. I governi cambiano, gli innovatori avanzano, ma certe tradizioni si rispettano.