Cercasi decreto anti jihadisti. E’ quello che bisbigliano ambienti ministeriali sul decreto prima annunciato e poi svanito, e ora ricicciato, per la lotta ai foreign figher, di cui proprio stamattina ha parlato in Parlamento il ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
LE PAROLE DI ALFANO IN PARLAMENTO
“Le due forme di minaccia, dell’Isis e della componente quaidista, si vanno a sommare tra loro, finendo per accrescere il livello di pericolo”, ha detto Alfano, che ha riferito alla Camera in un’aula semivuota sulla strage di Parigi. Escludendo “rischi specifici per l’Italia” ma annunciando un giro di vite, per decreto, contro i foreign fighter (tra i 53 censiti quattro hanno la cittadinanza italiana, tra cui il genovese Delnevo morto in Siria) e contro i siti che inneggiano alla violenza. Dura la replica della Lega: il governo collabora con i terroristi.
I VERI RISCHI IN ITALIA
“Non abbiamo segnali che indichino l’Italia e gli interessi italiani come esposti a specifiche e attuali situazioni di rischio”, ha rilevato il ministro, ricordando però che “siamo esposti all’insidia terroristica, innanzitutto perché ospitiamo la massima autorità del cattolicesimo, a volte additata nei farneticanti messaggi di Al Bagdadi tra i possibili bersagli, nonché per la tradizionale vocazione atlantista del nostro Paese e l’amicizia con gli Stati Uniti”.
CHE COSA SI CONTROLLA
Alfano ha chiarito che è stato disposto “l’immediato rafforzamento dei dispositivi di vigilanza e il monitoraggio degli obiettivi sensibili proseguirà con grandissimo impegno”: non solo siti istituzionali e luoghi culto, ma anche sedi di giornali e tv e personalità pubbliche “che, in ragione della loro attività politica, potrebbero essere oggetto di attenzioni terroristiche”. Il ministro ha inoltre rassicurato: “Moschee e luoghi di culto non sono trascurati nell’attività di intelligence investigativa. Ovviamente il monitoraggio è reso difficile dal fatto che in molti casi il culto viene effettuato in locali non idonei”.
CHE FINE HA FATTO IL DECRETO?
Ma il decreto legge annunciato tre mesi fa dallo stesso titolare del Viminale perché non è stato ancora approvato? Ce lo siamo chiesti ieri in questo articolo di ricostruzione. La domanda nasce da un fatto, anzi da un annuncio fatto il 10 ottobre 2014, tre mesi fa. Quel giorno il ministro dell’Interno, Alfano, nel corso di un seminario organizzato dal Centro studi americani, annunciò un decreto imminente. L’articolo di Formiche.net diceva: “Dopo il Regno Unito, anche l’Italia potrebbe dotarsi già nei prossimi giorni di norme ad hoc per contrastare il fenomeno dei foreign fighters, i cittadini occidentali che si uniscono a gruppi terroristi come lo Stato Islamico per combattere la loro guerra santa”. Sintesi basata anche su questa dichiarazione del titolare del Viminale nel corso del seminario: “L’Isis è una grande minaccia all’Occidente e non solo, alla quale l’Europa è chiamata a rispondere in una forma davvero unitaria. In Consiglio dei ministri porterò un provvedimento via decreto per risolvere alcuni vuoti normativi ed evitare che singoli possano decidere di andare a combattere all’estero“.
LE MANOVRE DI PALAZZO (CHIGI)
Poi, silenzio. Il decreto preparato dal dicastero dell’Interno arriva alla presidenza del Consiglio ma non giunge in consiglio dei ministri. Perché? Palazzo Chigi pensa sia più opportuno un disegno di legge e un decreto. L’indiscrezione, raccolta da Formiche.net, si rintraccia anche in un articolo di ieri del Sole 24 Ore. Il decreto, secondo il giornalista Marco Ludovico del quotidiano diretto da Roberto Napoletano, era stato derubricato dall’esecutivo a disegno di legge. Ma le norme in ballo, ha scritto il Sole, “forse potrebbero tornare decreto-legge e anche essere aggiornate alla luce dei nuovi fatti”.
Sarà così? Si vedrà. Le principali innovazioni contenute nello schema di provvedimento curato dal Viminale sono queste: pene ad hoc per i foreign fighters, controlli rigidi e ritiro dei passaporti per i sospetti, stretta sul web con oscuramento dei siti che inneggiano alla violenza, e altro ancora.
Sta di fatto che finora la presidenza del Consiglio ha inguattato il decreto. Per ragioni di sicuro tecniche, per aspetti giuridici da approfondire e magari concertare. Il decisionismo, si sa, ha sempre le sue eccezioni.
A mo’ di approfondimento pubblichiamo un estratto dell’articolo odierno sul tema firmato da Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera:
Espulsioni veloci e misure di sorveglianza speciali per i sospetti. È composto da cinque articoli il provvedimento antiterrorismo che il ministro dell’Interno Angelino Alfano porterà a Palazzo Chigi per contrastare il fenomeno dei «lupi solitari» e così cercare di prevenire atti estemporanei, ma anche attacchi pianificati come quello contro la rivista Charlie Hebdo a Parigi. Misure d’urgenza che il governo deciderà se approvare addirittura per decreto.
Modifiche al codice penale che — senza stravolgere le attuali norme — inseriscono una serie di procedure per «combattere le organizzazioni, che hanno minacciato il compimento di attentati anche ai danni di Stati europei, tra cui l’Italia, ed esercitano una forte capacità di proselitismo e attrazione, incrementando il fenomeno dei cosiddetti foreign fighters , cioè dei soggetti che, senza essere cittadini o residenti, si recano in Paesi dove agiscono questi sodalizi per combattere al loro fianco o per commettere azioni terroristiche».
Il titolare del Viminale ribadisce che sono «53 quelli censiti che non sono italiani ma hanno avuto a che fare con l’Italia nella partenza o nel transito. Conosciamo la loro identità e sappiamo dove si trovano», anche se la cifra appare in continua evoluzione e il timore è che in realtà qualcuno possa essere sfuggito al controllo o comunque sia in grado di organizzare azioni anche dall’estero. Non a caso in queste ore si stanno ricontrollando le liste, confrontandole con quelle fornite dagli apparati di intelligence stranieri.
Il testo messo a punto dai tecnici del Viminale con l’accordo della Giustizia integra l’articolo 270 quater sull’arruolamento con finalità di terrorismo «per rendere punibile anche il soggetto che viene arruolato per le predette finalità» ma soprattutto per punire con la reclusione da tre a sei anni «l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda di viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità terroristiche».
Una nuova sanzione penale riguarda invece «il soggetto che si “autoaddestra” all’utilizzo di armi, esplosivi, sostanze chimiche o nocive ovvero alle tecniche e ai metodi per commettere atti di violenza o sabotaggio con finalità di terrorismo». Quello sugli esplosivi è un aspetto che si è deciso di perseguire in maniera più efficace prevedendo l’arresto fino a 18 mesi per «chiunque, senza averne titolo, introduce nel territorio dello Stato, detiene, usa o mette a disposizione di privati le sostanze o le miscele che le contengono indicate come precursori di esplosivi» e fino a 12 mesi per «chiunque omette di denunciare il furto o la sparizione delle materie indicate come precursori di esplosivi».
Per tenere sotto controllo i «sospetti» e impedire i viaggi di addestramento verso i teatri di guerra, ma anche per garantire la procedura di espulsione, il provvedimento prevede che «nei casi di necessità e urgenza, il questore, all’atto della presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora abituale, può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento». Chi non rispetta i divieti rischia la reclusione da uno a tre anni.
Norme più severe anche per quanto riguarda la rete internet, ritenuta dagli analisti il veicolo più efficace di propaganda tra i jihadisti.
Per questo «se sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che la propaganda terroristica avviene per via telematica, il pubblico ministero ordina ai fornitori di servizi o ai soggetti che comunque forniscono servizi di immissione e gestione, attraverso i quali il contenuto relativo alle medesime attività è diffuso al pubblico, di provvedere alla rimozione» e ciò deve avvenire entro 48 ore.
Alle forze dell’ordine viene concessa la possibilità di accedere ai dati personali in maniera più elastica. Una misura che certamente potrebbe creare polemiche, perché consente di effettuare «per finalità di polizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati all’esercizio dei compiti di polizia di prevenzione dei reati» e quindi anche quando non ci siano contestazioni già effettuate ma un semplice sospetto.
Sulla necessità di utilizzare strumenti straordinari insisterà Alfano che già ieri ha ribadito come «nessuno possa escludere che in Italia accadano fatti drammatici, anche se stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo».
Al suo fianco avrà il ministro della Difesa Roberta Pinotti che evidenzia il pericolo di emulazione e insisterà sulla necessità di abolire i «tagli» previsti mantenendo il numero dei militari a presidio degli obiettivi sensibili uguale a quello del 2014.