Gli attentati di Parigi, nei quali 17 cittadini hanno perso la vita per mano di estremisti islamici, hanno contribuito ad aumentare la tensione tra Francia e Israele.
LE BACCHETTATE DI ISRAELE
Alla base dei rilievi di Tel Aviv vi sono in primo luogo i dubbi sulla gestione dell’emergenza da parte degli apparati francesi. “Dal punto di vista investigativo – ha spiegato subito dopo i fatti Avi Pazner, ex ambasciatore a Parigi e a Roma – la Francia sembra aver sottovalutato il problema. Noi purtroppo in Israele siamo più abituati e coscienti di fronte al terrorismo“.
LE PAROLE DI NETANYAHU
Tra le vittime dei jihadisti, oltre ai vignettisti del giornale satirico Charlie Hebdo, ci sono stati anche anche alcuni degli ostaggi di fede ebraica nel supermercato kosher di Port de Vencennes. Una circostanza che, subito dopo l’attacco, ha spinto il premier Benjamin Netanyahu a chiedere al Mossad di dare all’Eliseo “ogni assistenza necessaria“; non proprio una dichiarazione di fiducia verso i Servizi francesi. Il leader israeliano ha poi invocato l’unità del mondo occidentale in risposta al jihadismo islamico e predicato il bisogno di “non cedere alla paura“.
LE RIVELAZIONI DI HAARETZ
A questi rilievi verso la Francia, in sintesi descritta come inefficace e bisognosa d’aiuto, si è sommata una polemica svelata oggi da Haaretz. Secondo il quotidiano israeliano di sinistra – che cita fonti dell’intelligence israeliana – François Hollande aveva chiesto a Netanyahu di non prendere parte alla marcia contro il terrorismo, tenuta a Parigi. Il premier di Tel Aviv avrebbe però insistito, spingendo il presidente francese a estendere l’invito anche al leader palestinese Abu Mazen, in modo da tenere l’annosa questione fuori dall’iniziativa.
LA SPINTA POLITICA
Oltre la legittima preoccupazione per le sorti delle comunità ebraiche, gli osservatori addebitano l’intransigenza di Netanyahu a ragioni puramente politiche. Nella prima metà del 2015 saranno convocate nuove elezioni e il premier uscente ha bisogno da un lato di non perdere voti a destra dimostrandosi troppo debole, dall’altro di mantenere alto il livello di tensione per non far guadagnare consensi a sinistra. Anche per questo, Netanyahu ha rivolto agli ebrei francesi un nuovo invito a emigrare nella “loro” terra (nel 2014 7mila sono partiti alla volta di Israele) e annunciato di aver organizzato un comitato che aiuti e favorisca il trasferimento; aspetti che il primo ministro Manuel Valls non ha particolarmente gradito.
UN PROBLEMA CULTURALE
D’altronde il leader di Tel Aviv non ha nascosto di ritenere gli estremisti di Parigi e i miliziani palestinesi di Hamas come parte dello stesso “esercito” globale. Una minaccia ancora non ben compresa dall’Occidente, che rifiuterebbe di guardare in faccia la realtà.
Gli israeliani, come testimoniano altri aspetti sottolineati da Pazner, considerano l’emergenza francese come un problema prettamente culturale, che non va sottovalutato. “Circa un mese fa due giovani musulmani avevano lanciato le loro auto contro passanti in Francia esattamente come avvenuto a Gerusalemme. Ma allora il governo descrisse queste azioni come opera di squilibrati. Invece erano atti di vero e proprio terrorismo e come tali avrebbero dovuto essere trattati“.
L’ODIO VERSO L’OCCIDENTE
E c’è dell’altro. “C’è una popolazione di giovani musulmani di terza generazione che odia il Paese in cui vive e non lo vede come proprio. Nei loro confronti va adottata una condotta più severa senza ignorare il pericolo. Pare che non si voglia guardare in faccia la realtà e non si può andare avanti così“. Per l’ex diplomatico, bisogna “infiltrare le reti di questi gruppi, mettere in campo azioni che a volte magari non fanno piacere in uno stato democratico. Ma le democrazie per restare tali devono difendersi, altrimenti saranno gli estremisti a prevalere“. “Credo che per la Francia questi avvenimenti possano essere una sveglia. E forse – aggiunge – anche per l’Europa“.