Tutti promettono la fine dell’austerità. E’ l’unico (e controverso) punto in comune che hanno i partiti greci, che si presenteranno alle urne il prossimo 25 gennaio, ma nella consapevolezza che il difficile sarà proprio spiegare con quali risorse affrontare il futuro per il Paese che nel 2011 ha dato avvio al crack nel vecchio continente. A poche ore dalle decisione della Bce di dare avvio al cosiddetto quantitative easing, ecco una road-map di programmi e strategie.
SYRIZA
Non più sorpresa come nel 2012 (quando passò in un anno dal 3% al 23%), il partito guidato dal giovane Alexis Tsipras, maggiore indiziato alla vittoria finale, punta ad una rinegoziazione del memorandum firmato con la troika. In questi due anni di opposizione al governo di larghe intese conservatori-socialisti ha ammorbidito le posizioni anti euro, rassicurando i cittadini ellenici che il loro futuro sarà ancora nella moneta unica, ma con un diverso approccio. Primo, fermare l’emorragia sociale che ha colpito i ceti meno abbienti del Paese: propone il ripristino della tredicesima per salari e pensioni fino a 700 euro, sanità gratis per i più poveri, il taglio del 60% dell’attuale debito ellenico (280 miliardi di euro più interessi) e la sua trasformazione in un mega bond da restituire solo quando il paese accuserà una crescita del 3%. Inoltre chiedono l’assegnazione delle frequenze televisive da parte dello Stato solo dietro il pagamento di un canone, cosa che in Grecia non esiste, e la cittadinanza per gli immigrati che, copiosi, si sono riversati nel Paese: circa due milioni su una popolazione complessiva di undici milioni. E al termine della maratona elettorale finale culminata nel comizio di piazza Omonia, ha detto che non rispetterà accordi firmati dai suoi predecessori perché “il nostro partito rispetta gli obblighi che derivano dalla partecipazione della Grecia alle istituzioni europee, ma l’austerità non fa parte dei trattati di fondazione dell’Ue”.
NEA DIMOKRATIA
Meno spesa pubblica, più riforme amministrative legate all’introduzione della tecnologia, giustizia più leggera e rapida, progressivo alleggerimento della pressione fiscale (aliquota dal 43 al 33% per i cttadini, e dal 23 al 15% per le imprese). I conservatori al governo, dati al secondo posto dai sondaggi con un ritardo di 4-5 punti da Syriza, da un lato annunciano di poter fare a meno della troika insistendo autonomamente sulla strada delle riforme, ma dall’altro sposano una nuova austerità tassando anche le auto a metano. Ciò ha portato a mancate entrate fiscali per circa un miliardo al mese per l’intero 2014: ed è la ragione per cui la troika aveva subordinato l’elargizione della tranche da 7 miliardi lo scorso dicembre al raddoppio della tassa per le strutture turistiche e al licenziamento nel pubblico impiego. Ma si è giunti alle urne un anno e mezzo prima del previsto, perché proprio i conservatori hanno anticipato l’elezione del Presidente della Repubblica (prevista originariamente per marzo) al dicembre scorso. E, dal momento che la terza fumata è stata nera, secondo Costituzione il Parlamento è stato sciolto. Plaudono alla decisione del QE targato Bce e accusano Tsipras di aprire “l’ombrello proprio ora che da Bruxelles pioveranno denari”.
POTAMI
Il Fiume è il movimento nato alle sorse europee per volontà del giornalista televisivo Stavros Theodorakis (che fa campagna elettorale con un minivan e una tenda da campeggio), dato come terzo partito al 7%, assieme ai nazionalisti di Alba dorata. Nel maggio scorso in appena quaranta giorni raggiunse la soglia minima del 4% esprimendo un eurodeputato grazie ad un vademecum secco e concentrato su una nuova immagine, più sobria, del Paese: sì all’euro, no ai licenziamenti di massa nel pubblico impiego (la troika ne ha imposti 15mila, ma punta ad arrivare a 30mila), riduzione del finanziamento pubblico ai partiti (massimo 200 mila euro ciascuno) per realizzare l’esenzione dell’Imu sulla prima casa (si chiama Enfia), eliminazione della possibilità di pignoramento della prima casa da parte delle banche per chi non paga l’Enfia, un’imposizione fiscale tarata su reddito e tenore di vita, eliminazione di privilegi pensionistici o fiscali per la casta politica. E anche la revoca dell’immunità parlamentare, ma senza effetto retroattivo. Il suo slogan è “la cambieremo”.
ALBA DORATA
Nonostante l’intero gruppo parlamentare (primo e unico caso nella storia dell’Ue) sia agli arresti accusato di eversione, omicidio e ricettazione e non si conosca ancora quando il tribunale stabilirà o meno il rinvio a giudizio, i nazionalisti di Alba dorata sono ancora terzo partito nel Paese dati attorno al 6-7% come nel 2012. Priorità per far rinascere la Grecia è secondo il gruppo guidato dal focoso Nikos Michalioliakos l’indipendenza nazionale, alla cui base c’è la dottrina della profondità strategica. Dal momento che il Paese dispone di gas, petrolio, bauxite, oro, argento e ferro occorrono politiche per sfruttare questi giacimenti anche in chiave geopolitica. Sei i punti economici del loro programma: nuovo welfare per controbilanciare quello che è stato distrutto dal memorandum, quindi agevolazioni fiscali per tutte le coppie che hanno più di un figlio, riduzione dell’80% del contributo statale ai partiti da destinare ai nuovi nati greci, ammortizzatori sociali per madri single e per le famiglie numerose; nazionalizzazione delle riserve energetiche, come il gas presente a Creta che secondo i dati della Deutsche Bank ammonta a 427 miliardi di euro. Il tutto al fine di operare una redistribuzione dell’economia nazionale con l’obiettivo di stimolare la produzione primaria interna. Chiedono l’espulsione dalla vita pubblica politica dei condannati, la confisca dei beni ai soggetti condannati per truffa e peculato, la riduzione del 30% dei deputati e ovviamente l’eliminazione del memorandum imposto dalla troika.
KKE
I comunisti del Kke sono forse il partito più integralista di Grecia che ancora oggi tuona contro Nato e Ue. Dati al 5% e guidati da Dimitris Koutsoubas, che ha preso il posto della storica leader Aleka Papariga, chiedono la cancellazione unilaterale del debito, il distacco da qualsiasi forma legislativa e di rapporto con l’Unione Europea. E propongono che potere ed economia siano gestiti in solitario dai lavoratori. Come anche nelle passate elezioni, non sono intenzionati ad alcuna forma di collaborazione né con un eventuale governo di larghe intese né in alleanza con altri soggetti di sinistra, ma restano fermi su posizioni di opposizione costante.
PASOK
I socialisti del Pasok, fondato dallo storico leader Andreas Papandreou negli anni ’80 e guidati ora dal vicepremier Evangelos Venizelos, hanno compiuto il percorso inverso di Syriza, passando dal 30% del 2009 al 5% del 2014. Dati in costante caduta libera, hanno registrato l’ennesimo terremoto non solo con l’arresto per tangenti, traffico di armi, truffa e banda armata dell’ex ministro della Difesa Akis Tzogatzopulos, braccio destro per trent’anni di Papandreou prima e Kostas Simitis poi (premier fino al 2004), ma anche perché l’ex premier Giorgios Papandreou ha dato vita due settimane fa al movimento socialdemocratico Kinima (dato al 2,5%): con il compito di contribuire alla definitiva rottura del contenitore socialista ellenico. Dopo cinque anni di misure draconiane, plaudono per il suo ritorno sui mercati e chiedono una riforma a 360 gradi della macchina statale: stato piccolo, flessibile, vicino a cittadini e imprese; semplificazione amministrativa tramite l’e-government, creazione di un meccanismo permanente di mobilità per reindirizzare le risorse ed evitare gli sprechi. Ma non una parola sul memorandum.
twitter@FDepalo