Se il prossimo Presidente della Repubblica deve essere un ministro dell’attuale Governo, risparmiateci Pier Carlo Padoan (Schioppan?). Non perché il personaggio non sia all’altezza del ruolo. Il fatto è che in un mondo in cui l’immagine e la comunicazione svolgono una funzione predominante, l’Italia non può permettersi di farsi rappresentare da un Capo dello Stato, perennemente burbero e accigliato, come Padoan. Pensate al suo ritratto esposto in tutti gli uffici pubblici e a cittadini che vi passano sotto intimoriti come se volessero sottrarsi a quello sguardo indagatore. Napolitano aveva le sembianze di un nonno autorevole, se del caso severo, ma anche capace di affetto. Padoan ricorda a noi tutti il professore di matematica, pronto ad interrogare e dare il voto. Poi, come prenderebbero all’estero un Presidente che appare sempre in procinto di dichiarare una guerra?
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Eppure all’interno dell’esecutivo c’è un candidato ideale per il Quirinale. E’ il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. A pensarci bene è soprattutto sua la cifra riformista del Governo. Carlo Azeglio Ciampi fu ‘’premiato’’ per aver pilotato l’ingresso nel club dell’euro; il ministro ha sicuramente il merito di aver introdotto dei cambiamenti importanti nel mercato del lavoro. Poletti, poi, è l’espressione vivente della bonomia, il miglior propagandista, nell’anno dell’Expo, del made in Italy. Proviene da una regione la quale – come ha scritto Edmondo Berselli – è stata creata da Dio perché vi fosse prodotta la Ferrari; e, aggiungiamo noi, la mortadella. E che dire dell’allegria diffusa quando sul Colle più alto fosse suonata ‘’Romagna bella’’!.
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Torniamo allo schema del decreto attuativo del jobs act. Abbiamo sostenuto che, così come è formulato, non è meccanicamente applicabile al pubblico impiego. Ma il problema di un’estensione ai pubblici dipendenti – attraverso adeguate norme di coordinamento – non è eludibile. Perché, se non è applicabile la normativa prevista per i licenziamenti economici, dovrebbe esserlo quella introdotta per i licenziamenti disciplinari. Nel testo si prevede, infatti, un regime sanzionatorio opportunamente applicabile pure ai pubblici dipendenti senza eccessivi problemi. In sostanza, nel caso di licenziamento disciplinare la sanzione normale sarebbe di natura indennitaria, salvo i casi, sottoposti invece alla reintegra, in cui fosse provata l’insussistenza del fatto materiale.
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‘’Qui non ci sono sindacati’’, ha detto quel gigantesco premier albanese a Matteo Renzi come se volesse rassicurarlo. Ci siamo fatti riconoscere anche lì.