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Come i social network incidono sull’intolleranza

La ricerca La Mappa dell’intolleranza è stata lanciata ad inizio 2014 da VOX, Osservatorio Italiano sui Diritti. La presentazione si terrà oggi alle 12 a Roma nella Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mercoledì 28 gennaio, in Largo Chigi 19. Il progetto ha identificato le zone d’Italia dove è maggiormente diffusa l’intolleranza secondo i 5 gruppi: razzismo, omofobia, odio verso le donne, discriminazione nei confronti delle persone diversamente abili, antisemitismo. La realizzazione della Mappa ha coinvolto il Dipartimento di Informatica dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro, il Dipartimento di Diritto Pubblico Italiano e Sovranazionale dell’Università degli studi di Milano e il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica della Facoltà di Medicina e Psicologia di Sapienza Università di Roma.

Ecco l’intervento del prof. Giovanni Semeraro (University of Bari “Aldo Moro”Department of Computer Science) e del ricercatore Cataldo Musto

Il primo febbraio del 2014 abbiamo deciso di cambiare la data di nascita che compare sul nostro profilo Facebook in “1 dicembre 1914”. Abbiamo ricevuto innumerevoli messaggi di auguri attraverso i canali di comunicazione più disparati (SMS, telefono, messaggi Facebook). Perché l’abbiamo fatto? Perché intendevamo capire l’influenza che i Social Network hanno su di noi e sui nostri comportamenti; intendevamo capire se il loro uso favorisca l’emotività e l’istinto.

Così facendo, abbiamo reso i nostri ‘amici’ Facebook inconsapevoli protagonisti di un esperimento più ampio denominato LAZZARO. I Social Network modificano stili e abitudini con modalità così rapide che spesso ci sfugge la portata. Alcuni osservatori paragonano il potenziale innovativo dei Social Network all’introduzione della corrente elettrica, altri a quella del telefono. Come ogni innovazione che si diffonde con modalità epidemiche, alcuni effetti sono desiderati e desiderabili, altri tanto dannosi e pericolosi quanto imprevisti.

Secondo una recente ricerca IBM , il 90% dei dati disponibili sono stati generati negli ultimi due anni. Molti osservatori hanno paragonato questa disponibilità di dati senza precedenti nella storia dell’uomo ad un nuovo microscopio, un nuovo strumento di osservazione della realtà che consente di individuare fenomeni ed “organismi” che abitano l’ecosistema digitale e che sino ad oggi risultavano invisibili (un po’ come quando, non avendo a disposizione il microscopio, si moriva per cause ignote e si attribuiva il tutto a maledizioni, spiriti maligni ed altri fattori non verificabili ed osservabili).

Ma tanti e grandi dati (big data) sono poco compatibili con i nostri pochi e piccoli cervelli (small brains). Abbiamo bisogno di protesi tecnologiche per superare i nostri limiti cognitivi, di nuovi microscopi per trovare spiegazioni a fenomeni altrimenti oscuri.

Perché una mappa? Nel 1854 un’epidemia di colera colpì Londra. Oltre 10.000 cittadini morirono sino a quando un medico inglese, John Snow, presentò ai funzionari londinesi i risultati delle sue ricerche organizzati in una mappa, che rivelava una concentrazione di casi di colera nelle vicinanze di una pompa d’acqua di Broad Street, l’odierna Broadwick Street, nel quartiere di Soho.

La distinzione tra dati e mappa è evidente a tutti, meno evidente è la relazione simbiotica che esiste tra dati e mappe: “Senza i dati la mappa non può esistere. Senza una mappa i dati sono inutili.”. Le mappe ci consentono di organizzare le informazioni, di rivelare il contesto e l’humus in cui queste informazioni si formano (a partire da dati, fatti, eventi più o meno verificati e verificabili), alimentano le nostre intuizioni, il nostro ingegno e la nostra creatività e così facendo armano la nostra volontà e ci spronano all’azione, alla decisione, alla vita. Ci consentono di vedere quello che nessuno può osservare, di sognare una terra lontana, un incontro con luoghi remoti e persone diverse da noi per lingua, colore, abitudini, cultura (Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, W. Shakespeare).

Risalire la piramide della conoscenza è una delle aspirazioni – sarebbe meglio dire, ‘la Aspirazione’ – di ogni essere umano, più di qualsiasi altro essere senziente. Forse non ci resta che affidarsi alla irragionevole efficacia dei dati ed alla intrinseca bellezza delle mappe per ampliare le nostre capacità e superare le gabbie della mente ed i muri che la abitano, e che alimentano i nostri pregiudizi, preconcetti, superstizioni, fanatismi, in una parola, i nostri tabù.


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