La ridefinizione del quadro politico, però, dovrà fare i conti con la legge elettorale in discussione in Parlamento mentre vanno in stampa queste pagine. Il nuovo sistema di voto potrà assecondare i mutamenti di scenario, potrà dar loro vigore, oppure potrà contraddirli. Affinché quest’ultima eventualità non si verifichi, c’è bisogno di alcune certezze. Innanzi tutto, a differenza di quanto accaduto nel passato recente, come era agli esordi della Repubblica la legge elettorale deve essere in armonia con il sistema istituzionale nel suo complesso, non apparire rispetto ad esso un corpo estraneo. Fuori di metafora, l’Italicum deve tener conto degli incisivi cambiamenti che si stanno producendo nel bicameralismo e deve contenere elementi tali da prefigurare in nuce una nuova forma di governo che coinvolga maggiormente la sovranità popolare nella scelta del capo dell’esecutivo. In tal senso si colloca l’opzione del doppio turno: con il ballottaggio il corpo elettorale indicherebbe nei fatti una maggioranza di governo e il premier che la guida.
IL PESO DELLE PICCOLE FORZE
La legge dovrà inoltre assicurare allo stesso tempo governabilità e rappresentanza, in discontinuità con la tradizione di stampo illuminista per la quale un sistema elettorale deve garantire innanzi tutto la giustizia dei numeri. Non è così: compito prioritario di una legge elettorale è consentire al Paese di essere governato. Quando però questo obiettivo è messo in salvo attraverso la previsione di un premio di maggioranza, sarebbe ultroneo frapporre altri ostacoli rispetto alla rappresentatività. Fatta salva la governabilità, infatti, la storia italiana ci insegna che anche piccole forze possono in alcuni frangenti della storia dare un grande contributo alla vita istituzionale. In un momento di profonda delegittimazione delle nostre istituzioni, il loro coinvolgimento diventa ancor più importante.
La nuova legge dovrà infine evitare che un complicato sistema di soglie incentivi coalizioni coatte che si formano solo al fine di vincere o di sopravvivere. Meglio, molto meglio che la base del sistema sia rappresentata dai partiti e che il meccanismo elettorale li invogli a crescere per aggregazioni successive. Allo stesso tempo, tuttavia, bisogna evitare l’errore di trasferire nei partiti i vizi delle coalizioni: non possiamo insomma passare dalle coalizioni infedeli ai partiti infedeli, che fondono storie incompatibili pur di far lievitare le proprie dimensioni. Per questo, se formate su una base volontaria e programmatica, le coalizioni non devono essere messe fuori legge né risultare sconvenienti. Soprattutto finché la transizione istituzionale non si sarà conclusa, non bisogna scoraggiare troppo la prospettiva degasperiana di alleanze alle quali si dà vita anche se non sono i numeri a imporle.