Le foto dei migranti approdano al Maxxi. Domani, mercoledì, nella piazza del Museo Maxxi di Roma verrà inaugurata l’installazione “Draunara” di Federica Cellini, aperta al pubblico fino al 21 gennaio. Draunara, in siciliano “tempesta di vento che viene dal mare”, è un’installazione audio e foto sui migranti di Lampedusa.
Ogni giorno sulle coste della piccola isola siciliana si riversano a migliaia persone che hanno lasciato la loro terra, sospese tra la vita e la morte. Ammassati su piccole imbarcazioni di legno, schiacciati l’uno sull’altro, sono oltre 130 mila i migranti che, solo nel 2014, hanno attraversato l’Africa, il deserto e poi il mare rischiando alla roulette che porta in Europa. Gli sbarchi vanno avanti per ore, per giorni, un imponente flusso dorato che stordisce e confonde l’isola. Il lavoro di Federica Cellini è un’installazione basata su due livelli narrativi.
Da una parte gli scatti fotografici del giorno dell’arrivo dei migranti sull’isola di Lampedusa. Una serie di ritratti scattati sul posto con un iphone. Dall’altra, l’atmosfera creata attraverso alcuni suoni sintetizzati realizzati in collaborazione con Aleksander Protic, sound designer che ha già lavorato con il regista serbo Emir Kusturica. I suoni raccontano la storia del viaggio dei migranti dal centro Africa, ai camion roventi lanciati nel deserto, all’arrivo in Libia, dove spesso vengono detenuti mesi, a volte anni, in attesa di raggiungere il “carico umano” sufficiente far partire un’altra barca. E poi il mare, la traversata del Mediterraneo, fino all’arrivo dei sopravvissuti nella piccola isola di Lampedusa.
L’installazione è allestita in un container buio con dei piccolissimi fori a parete, solo avvicinandosi ai quali è possibile scorgere le immagini retroilluminate e ascoltare l’audio. Come in una sorta di via crucis con differenti fermate che abbinano audio e immagini, e che danno la possibilità ai visitatori di avvicinarsi a questo viaggio. Gli scatti ricordano i vue d’optique: stampe popolari nell’Europa del diciottesimo secolo, poste in un particolare cassone di legno chiamato zogroscopio e offerte alla visione tramite dei fori, a volte dotati di lenti d’ingrandimento. Queste stampe erano spesso illuminate dal retro del cassone e accompagnate da racconti e descrizioni ricche di suggestioni.