L’alleanza tra la sinistra di “Syriza” e la destra dei “Greci indipendenti” che andrà a comporre la nuova maggioranza del governo di Atene, segna un’ulteriore caduta degli steccati tradizionali della destra e della sinistra nel nome della comune lotta alle politiche di rigore.
Il tema dell’austerity diventa così la nuova discriminante politica per formare inedite alleanze e nuove maggioranze. C’è da scommettere che l’esperimento greco, in assenza di un cambio di rotta delle politiche dell’Unione, non resterà un caso isolato in Europa e potrebbe segnare l’avvio di una nuova stagione di realpolitik e un più avanzato modello della politica post-novecentesca.
Non c’è dubbio che la cosa provochi dei forti sussulti negli ortodossi della vecchia Europa, chiusi nel fortino dell’accordo germanocentrico tra popolari e socialisti (a discapito dei secondi più che dei primi) ma lo scossone del voto greco è destinato ad incidere molto più di quello che si poteva immaginare.
Infatti, dagli stessi ambienti di Bruxelles che in queste ore continuano a replicare con toni forti alle dichiarazioni di Tsipras, c’è la piena consapevolezza che qualcosa dovrà pur cambiare rispetto alle rigide rotte imposte da Berlino.
Insistere sul rigore, tentare di osteggiare ulteriormente il già positivo ed imbrigliato piano Draghi, paventando chissà quali effetti miracolosi per il piano Junker, rischia di produrre nei cittadini europei reazioni analoghe a quelle del voto greco.
L’Italia non è immune da questo rischio. Non è un caso che l’eco dei festeggiamenti ellenici non solo ha coinvolto tutta la variegata galassia della sinistra italiana – da quella Pd, che in fondo socialista lo è diventata obtorto collo, fino al Manifesto – ma un ampio schieramento che spazia dal governo fino all’opposizione leghista.
Ma le discrepanze, come sempre, sono nella sostanza. Se le parole forti di Tsipras, che dovranno ora trovare un riscontro reale nell’attività di governo, non spaventano le forze collocate alle ali del nostro sistema, queste mal si conciliano con l’area di governo e con l’interesse nazionale, visto il volume del prestito italiano alla Grecia.
La linea fin qui adottata da Matteo Renzi, parole e fatti (“rispetteremo il vincolo del 3%”), è pressoché contraddittoria con quella di Tsipras, non avendo mai messo in discussione i capestri vincoli europei durante tutto il corso del semestre europeo a sua guida.
Ciò non toglie che il presidente del Consiglio, da buon tattico, proverà a sfruttare l’occasione greca. Ma non servono tattiche, serve invece una strategia e questa passa dalla costruzione di un piano e di un fronte non tanto anti-rigore quanto pro-crescita, che misuri la sua credibilità e la sua forza sul piano della proposta e delle riforme.
Se gli Stati membri sono a giusta ragione chiamati ad attuare una seria politica di riforme, perché questa non dovrebbe interessare la stessa Unione europea e le sue istituzioni in primis la Bce?