Per prima cosa mi corre l’obbligo di fare una precisazione: provo una certa emozione a parlare di Antonio Martino, in questo momento più di prima se possibile.
Conosco Antonio Martino, il Professore, da quasi 30 anni e se togliamo la moglie, la distinta e cortese signora Carol, penso di essere la persona che ha passato più tempo con lui negli ultimi 30 anni.
Ho conosciuto Antonio Martino, il Professor Martino, ai tempi in cui ero studente all’Università: insieme ad un gruppo di amici e colleghi, oggi non più colleghi ma ancora amici, scegliemmo di seguire le sue lezioni di Economia Politica, anche se avevamo già frequentato quelle di un altro docente.
Quell’uomo gentile, dai modi tanto diversi dai suoi colleghi nell’affrontare le pieghe della sua materia, quel professore così colto, raffinato e dotato di un umorismo dal taglio non propriamente italico, mi colpì subito.
Sostenni con lui l’esame e poi lo persi di vista.
Lui nel suo ruolo di docente e io in quello di studente affannato a chiudere in fretta la carriera universitaria.
Arrivammo presto al 1994, al famoso ’94, l’anno della rivoluzione liberale, del sogno italiano, della nascita della prima grande alleanza di centro destra del nostro Paese.
Antonio Martino di quel sogno è stato uno dei principali artefici disegnandone, da uomo di Stato serio e coerente, da Statista, il progetto economico, il rilancio e la sua crescita.
La storia che ha preceduto la nascita del ventennio berlusconiano è nota a tutti, vive del ricordo di chi vi ha partecipato e dei tanti che ne hanno scritto, non sta a me ricordarla. Una cosa, tuttavia, mi preme rammentare e sottolineare: gli attori principali che diedero corpo a quel sogno dal nome Forza Italia, Antonio Martino in testa, erano mossi da ideali e non da interessi di bottega; a loro importava per davvero di cambiare il Paese, renderlo moderno, leggero, in una parola liberale.
Fu così che, concretizzatosi quel sogno che vide uscire Berlusconi vittorioso dalle urne nel marzo del ’94, le nostre strade, la mia e quella di Antonio Martino, si incrociarono una seconda volta: galeotta fu ancora una volta l’università, la LUISS di Roma, nella quale il Professore continuava a svolgere la sua docenza e io i primi passi da assistente universitario.
Al Professore, ministro degli esteri in pectore, serviva un assistente e io quello facevo, guarda caso proprio nella cattedra di Relazioni Internazionali.
Fu una scintilla, la prima, alla quale ne seguirono tante altre, un vero e proprio fuoco, una passione, politicamente parlando s’intende…
Dei successivi vent’anni si è parlato in mille occasioni: le esperienze di partito e le sue rivoluzioni, quelle di governo, lunghissime, soprattutto la seconda al Ministero della Difesa, forse quella che maggiormente ha contribuito a fare di Antonio Martino un vero e proprio uomo delle Istituzioni.
Testimonianza ne sia la centralità che, a partire da quella data, ha assunto il suo ministero: il dicastero che, nelle precedenti esperienze di governo, era sempre stato visto come un parcheggio di lusso per politici di lungo corso sul viale del tramonto, è diventato uno dei luoghi principali attraverso cui realizzare la politica di governo, con un piede a Palazzo Chigi e un altro al Quirinale, centro di mediazione e di contatto tra il Presidente del Consiglio e quello della Repubblica.
Anni importantissimi nella sua carriera politica e nella sua trasformazione definitiva in Statista, anni passati l’uno al fianco dell’altro, giorno dopo giorno, mese dopo mese.
Potrei raccontare una infinità di aneddoti, alcuni veramente divertenti altri terribilmente drammatici, ma fanno parte del mio intimo, come credo facciano parte del suo.
Di uno, tuttavia, voglio si conservi la memoria: nel 2003, ad Antonio Martino venne chiesto di accettare la nomina a Segretario Generale della Nato.
Si trattava di accettare semplicemente la candidatura, perché c’era l’accordo unanime degli Stati membri. Furono giorni di gioia e di esaltazione, ma anche di ansia e di sconforto: il Professore era a capo del dicastero della Difesa, impegnato in una delicatissima opera di ammodernamento e di rilancio.
Alla fine prevalse il senso dello Stato: Antonio Martino rinunciò a candidarsi e la verità è che lo fece per non lasciare un’incompiuta andandosi a prendere gli onori che il mondo intero intendeva tributargli. Scelse di restare seduto sulla poltrona di ministro per senso dello Stato e amore della Patria (anche se, facendo ricorso al suo proverbiale humor, sdrammatizzò tutto dicendomi “ma sai che noia tutte quelle riunioni con gli Ambasciatori”)
All’epoca, sono sincero, non compresi fino in fondo il motivo di questa scelta: forse ero ancora troppo giovane, forse pensavo che i lustrini e le paillettes brillassero più delle nostrane stellette, tanto che lo ammonii: “Professore, nessuno domani Le renderà merito di questa sua scelta”.
Oggi, dopo più di un decennio, comprendo fino in fondo il senso di quella sua scelta, mi è chiaro il valore di quel sacrificio: per Antonio Martino la Patria e le sue Istituzioni sono più importanti di qualsiasi successo personale.
So che quella di Martino è da molti considerata una candidatura “di bandiera”, ma io sfido Renzi a dimostrare nei fatti di essere davvero l’innovatore che dice di essere: se Renzi prendesse in considerazione una candidatura di così alto livello come quella di Antonio Martino, dimostrerebbe finalmente di voler dare un fortissimo segnale di unità nazionale e di rinnovamento della politica.
Oggi, se fossi tra quelli chiamati a scrivere il suo nome e metterlo nell’urna, lo farei senza indugio, perché saprei di scegliere un uomo che non ha mai anteposto la sua carriera, il suo particulare, al bene comune, al Paese.
Viva l’Italia, forza Antonio Martino!
Giuseppe Moles, membro Ufficio di Presidenza di Forza Italia & Portavoce di “Rivolta l’Italia”