Che senso ha un contributo personale come questo? Che autorità può avere uno come me per scrivere di Pino Daniele? Nessuna, è vero, anzi verissimo. E’ un po’ come quando un artista, un cantante in particolare, si mette a parlare di economia o di politica; in linea generale non ha nessuna autorità o credibilità specifica, però lo fa perché sente il bisogno di farlo, e in fondo le sue opinioni sono spesso sentite ed autentiche. E allora oggi facciamo un po’ il contrario.
Un dirigente di impresa multinazionale, di mezz’età avanzata, specializzato in telecomunicazioni, nuove tecnologie e ri-organizzazioni aziendali, in Francia, Stati Uniti, Singapore, Giappone, si mette a parlare di Pino Daniele, da Napoli.
Oggi poi, quando lo fanno tutti, sicuramente meglio di me. Però è così’. Su Facebook un amico, Alfredo Morabito, lui sì un’artista, ha scritto: “Viene da piangere, si mischia tutto dentro”. In effetti, viene da esprimersi, da dire la propria, non servirà a molti altri, ma serve a chi scrive…
E bisogna tornare a Napoli, anni ’70. Anni difficili per molti versi. Per motivi giustificatissimi, per carità, pur essendo borghese “vero” e “piccolo”, a 15 anni si poteva finire perquisiti con un mitra puntato al collo, oppure prendere una manganellata sulla schiena a un allenamento del Napoli, di cui non si era neanche tifoso.
Altri tempi… Quegli anni lì, a Napoli, ascoltare Edoardo e Eugenio Bennato, o la Nuova Compagnia di Canto Popolare o Napoli Centrale, era come respirare l’aria che tirava. E poi ci fu Nero a metà. Per carità, c’erano già stati 2 dischi, e Pino era già speciale per molti di noi. Ma nel 1980, ci fu Nero a metà. Si poteva ancora discutere per ore della superiorità dei Genesis di the Lamb sui Pink Floyd di Dark Side, o sull’inaccettabilità musicale dei Bee Gees, su cui si ballava comunque… ma su Nero a metà le discussioni terminavano.
E poi il 19 settembre 1981, giorno di San Gennaro, a Piazza del Plebiscito. Eravamo più di 100mila, questo è sicuro, assiepati sulle statue, sotto i portici, dovunque si potesse e anche dove non si poteva… alcuni dicono che eravamo più di 200mila, ma in realtà non lo sa nessuno con certezza. Era lo stesso giorno del Concerto in Central Park di Simon e Garfunkel, ma noi non lo sapevamo, e non ce ne fregava nulla, il nostro Woodstock personale era lì, tra il circolo ufficiali e il Palazzo reale… di fronte a Senese, Zurzolo, Esposito, De Piscopo e, naturalmente, Daniele.
Alcuni dicono che i problemi di cuore di Pino cominciarono lì, di fronte all’ansia e un po’ allo spavento di dover prendere in mano quel pubblico disorganizzato e traballante. Ma poi fu festa… oltre due ore di festa. Non sono mai riuscito a trovare una descrizione di quella musica, di quell’atmosfera, di quel gruppo di musicisti, di quella sera, che rendesse veramente l’idea di quello che vissi io, di come lo vissi io.
Lasciai Napoli qualche settimana dopo, per la facoltà di informatica all’università di Bari, e l’inizio di quella che sarebbe diventata la mia “carriera”. Però nel 1982 facevo ancora il conduttore in una radio privata. E quando si trattò di scegliere il titolo del nuovo programma, il mio amico Nino Gatti, oggi autore di best-seller sui Pink Floyd, ed io, avemmo pochi dubbi: Vai Mo’… Un’altra esperienza bellissima, sotto il segno di Pino, ovviamente.
Ottavio Carparelli
Business Leader,
Communication and Media Solutions; Europe Middle East and Africa.
Hewlett Packard