La storia umana ha assistito in questi giorni a un grande cambio di civiltà. Indubbiamente questo è il fatto complessivo più importante di cui oggi bisogna prendere atto. Stiamo vivendo, infatti, un vero e proprio “salto di paradigma”, come lo avrebbe definito Thomas Kuhn. L’11 settembre ha generato la prima grande scossa che adesso si è tradotta in una situazione che costata l’emergere, ci piaccia o no, di una bipolarità diversa e originale. Schematizzando, possiamo dire che siamo passati dal vecchio ordine globale della Guerra Fredda a un nuovo ordine globale, attraverso la mediazione di un lungo periodo di disordine internazionale.
La nota più rilevante che evidenzia questo spostamento di asse del mondo è stato il materializzarsi del Califfato islamico come polo territoriale del fondamentalismo politico anti occidentale. Adesso per le grandi democrazie del pianeta non vi è più un nemico invisibile e impalpabile, ma la presenza di un soggetto statale la cui prospettiva di guerra, riesca o no a imporsi, è esattamente l’opposto della nostra civiltà.
Ecco perché, in fin dei conti, di fronte ad uno scenario tanto articolato e complesso, le parole pronunciate da Matteo Renzi a Strasburgo sono suonate un po’ banali. Il premier si è rivolto all’UE con metafore ammiccanti e allusioni ottimiste sul presunto dinamismo che si starebbe mettendo in atto, anche se, in realtà, con buona pace di Galileo, “niente si muove all’orizzonte”.
Così sembra, per lo meno. Infatti, la grande novità che si aggiunge come speculare a Isis in Medioriente è la crescita dei movimenti di estrema destra in tutta Europa. Non a caso anche un movimento come quello di Tsipras in Grecia evoca categorie e riferimenti esplicitamente anti europei, non molto dissimili a quelli opposti e contrari del Fronte Nazionale francese o della Lega in Italia. Ciò significa che la polarizzazione cresce e le istituzioni del nostro continente, di là della retorica renziana, dovranno tenerne conto.
Davanti ad un’Europa democratica sempre più spenta, ecco che il mondo si muove con rapidità, facendo crescere le insidie che minacciano la solidità dell’Occidente. È questa la ragione del ritorno di moda delle identità nazionali. I cittadini europei sembrano dire che vogliono solidità e preferiscono enfatizzare fattori di forza già presenti piuttosto che perdersi dietro burocrazie fiscali e finanziarie, inutili e impoverenti.
La caratteristica interessante di questo cambiamento degli equilibri si nasconde, quindi, dietro il riemergere dalle coltri del passato di un tipo dualità che vive del fattore minaccia e si alimenta del pericolo violenza proveniente dagli effetti del fenomeno terrorismo.
Laddove chi ci combatte fa leva sulla brutalità e la mette sul piatto della nostra vulnerabilità politica, ecco che l’uomo comune cerca un baluardo di salvezza e spera di trovarlo nell’antica idea di comunità.
Così come agli inizi del secolo scorso, la violenza della lotta operaia si tradusse in un volano di contestazione rivoluzionaria contro la forza della nostra borghesia liberale, ecco che oggi la violenza della rivoluzione del Califfato tende a risvegliare nelle nostre società il bisogno di una forza identitaria che le istituzioni europee non sembrano riuscire a offrire come alternativa.
E’ vero, dunque, la storia è davvero giunta a una grande svolta di civiltà. Ma mentre Renzi chiude il semestre italiano con un discorso convenzionale sul debole contributo italiano, l’orizzonte che si apre è quello invece di un’Europa stanca che non riesce a rialzarsi e a trovare il suo vigore, neanche in questo mutato quadro di circostanze.
Viceversa, non è difficile capire cosa fare. Se adesso a fronteggiarsi sono democrazia e terrore, e da una parte sicuramente la violenza è lo strumento d’uso, l’Europa non può fare a meno di contrapporgli unita la propria forza culturale e militare, riprendendo e consolidando l’autentica visione popolare che rappresenta l’unica alternativa d’equilibrio che possa ragionevolmente salvaguardare la sicurezza di tutti e la libertà di ciascuno.
Al terrore non si risponde, in definitiva, né chiudendosi in se stessi, né perdendo se stessi, ma sapendo essere se stessi: una civiltà grande, forte e democratica com’è l’Europa. E purtroppo, in questo lavoro politico delicato, l’Italia è mancata del tutto al suo appuntamento.