Loro hanno ucciso in nome di Allah. Lui invece, in nome di quello stesso Dio, condanna l’attentato commesso al settimanale satirico parigino Charlie Hebdo. “Non è una contraddizione – spiega – perché quei terroristi non c’entrano nulla con l’Islam, io non ho niente in comune con loro”.
Venticinque anni, gli ultimi quindici passati in Italia dopo essere nato e cresciuto in Marocco, Brahim Maarad lavora al Nuovo Quotidiano di Rimini ed è forse il più giovane immigrato con la tessera da giornalista professionista in tasca. E’ un musulmano praticante, tra i responsabili della comunità islamica riminese, e adesso che milioni di persone hanno invaso le strade di Parigi per difendere la libertà di espressione dopo quella strage, dice di aver “capito che tutte le mattine dovrò uscire di casa con una responsabilità ancora più grande”. Quale? “Non difendermi da ciò che hanno fatto altre persone, ma fare conoscere a tutti come sono fatto io”.
“IO CON QUEI TERRORISTI NON C’ENTRO NULLA”
“Niente, assolutamente niente. Quei terroristi non c’entrano nulla con me” scandisce Maarad. “A parte nel nome, purtroppo”. Perché, ragiona, “loro si definiscono musulmani, gridano Allah è grande mentre compiono il massacro. Anche io sono musulmano, ma nei fatti, nelle pratiche, nella condotta morale, non mi posso assolutamente ritenere appartenente al loro stesso gruppo”. Insomma, quei delinquenti non sono veri fedeli di Maometto, prova ne è il fatto che – secondo il giovane cronista – tra le vittime dell’attentato vi siano stati due islamici: il poliziotto Ahmed e il correttore di bozze Mustafà.
A RISCHIO LA CONVIVENZA CIVILE
Ogni volta, e purtroppo sono tante, che un terrorista compie un attentato inneggiando ad Allah, Maarad sa di essere chiamato a prenderne le distanze. Anche se “io non c’entro nulla”, anche se si sente un po’ offeso nel venire tutte le volte tirato in ballo da colleghi, conoscenti, amici. “Ormai c’è un’associazione di idee automatica tra Islam e terrorismo – spiega – tanto che anche chi mi conosce abbastanza bene non riesce a comprendere subito che io non ho nulla da spartire con gli assassini. Non devo essere obbligato dagli altri a prendere le distanze da quel gesto, perché io non appartengo a quella gente”. Tuttavia, quando scorre il sangue innocente a causa del fondamentalismo islamico, “oltre allo sgomento e alla condanna per l’accaduto, mi vengono i brividi per ciò a cui debbo fare fronte in Italia”. Dai mass-media ai social-network, passando per “quei politici che fomentano l’odio per racimolare qualche voto in più”, la valanga gli pare inarrestabile. “Anche i vicini di casa o gli amici iniziano a guardarti con diffidenza, hanno il dubbio che anche io, essendo musulmano, possa essere un terrorista, un kamikaze”. Per questo, dice, “a Parigi non hanno abbattuto la libertà di espressione, ma sono riusciti a mutilare la convivenza civile”.
E ADESSO SI RICOMINCIA DACCAPO
Quello di Parigi non è stato un attentato come altri. Anzi, date le modalità di esecuzione, è stata più un’azione di guerriglia urbana. “Il problema – continua Maarad – sta nel fatto che quella strage è stata commessa per vendicare il Profeta Maometto, aprendo il fuoco contro dei giornalisti all’interno di una redazione, quindi c’è di mezzo la libertà di espressione”. Insomma, un mix tale da minare dal profondo le basi della convivenza civile instauratasi nel tempo. “Sono convinto che con questo attacco siamo tornati al clima post 11 settembre, quando Islam e terrorismo venivano considerati la stessa cosa. Abbiamo impiegato 10 anni noi musulmani moderati per cercare di spiegare la differenza, per fare comprendere agli europei che la nostra religione non è terroristica. Con questo attentato siamo tornati indietro di almeno 7-8 anni”.
VIGNETTE SATIRICHE E BUON SENSO
Le immagini di Charlie Hebdo che sbeffeggiano il Profeta? Maarad non ha dubbi: “Non le avrei mai pubblicate, e lo dico da giornalista. Nemmeno se avessero ritratto il Papa, un ebreo o Budda”. Perché “la satira deve trasmettere un messaggio, centrare un obiettivo in maniera immediata e ironica”, mentre “utilizzarla esplicitamente per insultare miliardi di persone, è una cosa che non condivido. Se avessi responsabilità dentro un giornale, non permetterei mai di pubblicare una vignetta che offende qualcuno per il suo credo”. Detto ciò, “le vignette blasfeme non andrebbero vietate per legge, basterebbe soltanto il buon senso dei direttori. Per questo credo nell’etica della professione e nell’ordine dei giornalisti”. “Da credente musulmano – chiosa – quelle immagini mi feriscono, offendono l’Islam, ma non mi permetterei mai di rispondere né con violenza, né con altre vignette offensive. La libertà di espressione è tanto sacrosanta quanto la libertà delle persone di non essere insultate e offese”.