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Vi spiego perché io, economista liberale, sono un po’ felice della vittoria di Tsipras

E’ di estrema sinistra un partito come quello di Syriza? Un liberale può fare il tifo per Syriza all’interno della governance politica europea?

Sono due domande a cui vale rispondere visto che in Italia stanno mostrando simpatia per il leader greco Tsipras una serie di personaggi che paiono aver poco a che fare, per la loro storia e/o appartenenza, con Syriza (compreso il sottoscritto).

La mia impressione è che Tsipras sia comunista quanto lo sia Obama: ambedue hanno sviluppato una decisa preferenza per una politica fiscale fatta di deficit per aiutare l’economia ed ambedue sembrano ritenere che la tassazione dai ricchi ai meno abbienti sia, specie in un momento di recessione, un cuscinetto indispensabile per sostenere la coesione sociale. Più che comunista, pare un’agenda keynesiana che non ha nessuna intenzione di levare al mercato il suo ruolo, ma di puntellarlo, sostenerlo e stabilizzarlo, ridandogli quella fiducia senza la quale rimane rachitico e timoroso.

Ma c’è di più.

La prima mossa di Tsipras è stata quella di ridurre drasticamente il numero di ministri rispetto a quello di tutte le coalizioni greche del passato: da quaranta in media a tredici. Un primo segnale di attenzione a quanto gli chiedono tantissimi dei suoi elettori: di non essere solo il partito della spesa ma della riqualificazione della spesa.

E Tsipras ha forse intuito come non sia pensabile fare ciò all’interno di un paradigma, come quello della Troika, che prima chiedeva le riforme e poi, forse, avrebbe concesso una qualche riduzione dell’austerità. La perdita di lavoro di 190.000 dipendenti pubblici all’interno di un contesto di austerità ha reso impossibile discutere con la dovuta serenità di assunzioni di nuovi dipendenti con criteri diversi e più meritocratici: troppo forte sarebbe stata (e probabilmente è stata) la contestazione dei licenziati.

Un liberale come Einaudi non avrebbe avuto nulla a che ridire con una sequenza che in primo luogo si fosse focalizzata sul creare un clima capace di favorire l’emergere di un contratto sociale dove non vi fossero sostanziali parti del Paese talmente in difficoltà da dirsi effettivamente private della libertà di scelta. Avrebbe ben capito come nessun mercato può svilupparsi pienamente nella tensione dovuta a politiche percepite da una maggioranza del Paese come profondamente ingiuste.

La domanda sorge dunque spontanea: come mai in Italia non emerge un partito liberale, di destra o sinistra, capace di rappresentare le esigenze di giustizia sociale e sviluppo economico alle quali evidentemente anela?



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