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Tutte le evoluzioni geopolitiche del 2015

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Si stanno spezzando e ricomponendo tutti i blocchi strategici e geopolitici che si erano ricostruiti alla fine della guerra fredda, che pure l’Occidente aveva compreso, in modo errato, come implosione automatica  dell’URSS e non, invece,  come una lotta di alcuni gruppi di potere sovietici contro il grosso del PC erede della Rivoluzione d’Ottobre.

Il Maghreb non è più integro. Le azioni, spesso irrazionali e prive di finalizzazione da parte dei Paesi Europei e degli USA, che hanno generato le Primavere Arabe hanno chiuso il loro ciclo.

E’ finita, oggi, l’ideologia delle guerre umanitarie e della democratizzazione dall’alto che ha caratterizzato le maldestre operazioni UE, NATO e ONU di modifica strategica dell’area.

Andremo verso una serie di operazioni di containment delle aree di crisi che vedranno l’inserimento inevitabile, almeno come finanziatori, dei nuovi attori globali con una proiezione di potenza nel Maghreb e in Africa: Federazione Russa e, soprattutto, Cina.

Si apriranno spazi, tra Aden e il Corno d’Africa, anche per la Federazione Indiana, che vuole securizzare le sue linee marittime verso Ovest, l’asse del nuovo sviluppo nazionalista e “induista” di Nuova Delhi.

La costa africana del Mediterraneo vedrà quindi un Egitto che, con Abdel Fattah Al-Sisi saldamente al potere, si estenderà egemonicamente sia sul Sinai, in coordinamento con Israele, e soprattutto nell’area delle Fonti del Nilo, vero asse strategico del Cairo fin dall’era nasseriana.

Il regno alawita del Marocco diverrà, estendendosi verso il suo naturale sbocco atlantico, il punto di sutura geoeconomico e militare tra interessi USA e europei.

E’ probabile che, insieme a Egitto e Algeria, Rabat penetri nell’area subsahariana e si divida le spoglie della Libia, ormai ritornata “espressione geografica” di un’area tra Fezzan, Tripolitania e Cirenaica.

L’errore colossale di aver destabilizzato la Libia per poi lasciarla in balìa di se stessa e delle bande islamiste sarà pagato a caro prezzo dall’Europa, che non ha saputo sostenere uno sforzo prolungato (e certamente non potrà farlo  nemmeno in futuro)  e il costo sarà un canale di destabilizzazione che, per l’Italia, riguarderà sia il mix migratorio di diseredati e terroristi islamici sotto copertura, e la destabilizzazione delle comunicazioni energetiche tra le coste libiche e la Sicilia.

Oggi, va detto con chiarezza, i Paesi europei e, per qualche riguardo anche gli USA, non hanno più la potenza militare, la volontà e la cultura strategica per operare a medio termine fuori dai loro confini.

E gli altri lo sanno.

L’economia europea avrà il suo momento della verità con l’introduzione progressiva del TTIP, Transatlantic Trade and Investment Partnership che, con ogni probabilità, verrà sperimentata in determinate aree proprio a partire dal 2015.

Gli USA non vogliono più una economia UE che fa concorrenza ai loro prodotti, e vogliono esportare il surplus di liquidità in USD verso le economie europee, per collegarle al loro business cycle.

Washington ripete, sostanzialmente, quella che fu l’offerta di Henry Kissinger nel 1973, “The Year of Europe”: voi europei assorbite l’inflazione USA, e in cambio noi vi compriamo, magari ai prezzi che decidiamo noi, le merci che non riuscite più a vendere.

L’applicazione del TTIP, qualora vada nelle linee oggi definite, vuol dire che si separeranno di fatto le “due Europe”, quella germanocentrica e quella meridionale. Gli USA rifinanzieranno le economie delle “cicale” UE al fine di restringere e, sostanzialmente marginalizzare, l’area Euro.

Israele continuerà, forse con maggiore successo di quanto oggi non accada, a operare con la logica degli Orazi e dei Curiazi.

E’ probabile che gli USA, dopo il riconoscimento de facto della Repubblica Islamica dell’Iran, accettino lo status quo nucleare di Teheran, magari con una verifica congiunta IAEA-5+1.

Questo innescherà due effetti a lungo termine: la autonomizzazione dell’azione militare israeliana nel Grande Medio oriente, che non sarà più coordinata con Washington (ma magari con Mosca e Pechino) e l’allontanamento progressivo del Regno Saudita dagli USA.

La lotta all’interno dell’OPEC per gestire i prezzi, che pure hanno un effetto estremamente differenziato sulla stabilità dell’economie petrolifere, sarà ormai dichiarata: da una parte l’”internazionale sciita”, con a capo Teheran, e dall’altra l’Unione sunnita, diretta da Riyadh e dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, con un probabile gioco autonomo del Qatar, che ha interessi gazieri contrastanti con l’Iran e che opera al fine di unire tutti gli sforzi geopolitici dei produttori di gas naturale per separarli da quelli dei produttori di petrolio.

La Cina continuerà a stabilizzare la propria economia, mentre aumenterà la rivalità con l’India e la tendenza a coniugare, in Siberia e nelle aree del Sud-Est asiatico, gli interessi di Pechino con quelli di Mosca, soprattutto sul piano produttivo.

Determinante, nel 2015, diverrà la trasformazione in area di difesa autonoma della SCO, Shanghai Cooperation Organization, che attirerà nel suo seno la Turchia e avrà un ruolo fondamentale nella gestione post-ISAF dell’Afghanistan.

Giancarlo Elia Valori è professore di Economia e Politica Internazionale presso la Peking University e presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”



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