Il crocevia della storia che ci troviamo ad attraversare pone quelli che hanno avuto un percorso politico simile al mio di fronte a tre interrogativi di fondo, tra loro connessi. Il primo: ha ancora senso utilizzare le categorie di destra e sinistra per descrivere il conflitto politico? Il secondo: i partiti possono ridursi ad agenzie per risolvere problemi contingenti dietro le insegne di un leader carismatico, perdendo qualsiasi contenuto valoriale? Il terzo: il cattolicesimo, e in particolare i principi della dottrina sociale della Chiesa, possono ancora, o meglio, possono nuovamente rappresentare un corpus dottrinale in grado di vivificare una comunità politica e di sorreggere una nuova classe dirigente?
Si tratta di questioni che qualche tempo fa Dario Antiseri ha posto sul Corriere della Sera, mutuandole da un retroterra certamente profondo dal momento che tali tematiche animavano le nostre discussioni già vent’anni fa nei vialetti della LUISS a viale Pola. Esse però traggono nuova attualità da quanto sta accadendo sotto i nostri occhi.
LA TRASFORMAZIONE DI RENZI
In questa legislatura, infatti, il sistema politico italiano si sta profondamente trasformando sotto l’impulso provocato dall’avvento di Matteo Renzi, prima alla testa del Partito Democratico e poi alla guida del governo. Come nel 1994, ci stiamo lasciando alle spalle una stagione della storia repubblicana per addentrarci in un’altra dai connotati ancora incerti.
La circostanza investe appieno tutti e tre i problemi con i quali siamo chiamati a confrontarci. Renzi, infatti, usa un linguaggio e formula delle proposte che nulla hanno a che fare con il patrimonio della sinistra così come l’abbiamo fin qui conosciuta: quella proveniente dalla tradizione comunista, in Italia troppo forte e troppo a lungo egemone. Di più: sovente sembra attingere a piene mani alle idee di quelli che fino a poco tempo fa erano considerati nemici da abbattere. Il suo partito ne risente. Decresce (crisi del tesseramento) in modo complementare a come, almeno in un primo momento, sono parsi aumentare i consensi alla politica del suo capo. E dall’altra parte dello schieramento politico i partiti non se la passano meglio. Basti pensare al Popolo della Libertà – nato come tentativo di conciliare il carisma con un’organizzazione strutturata –, chiuso e trasformato nel volgere di pochi giorni in una Forza Italia che, nella nuova versione, appare una struttura familistica ancor più che familiare. In questo stesso contesto s’inscrive infine il dissiparsi dell’esperimento montiano che, tra le altre cose, ambiva a rappresentare fermenti e idee dei seminari di Todi (falliti anch’essi, insieme all’anacronistica riproposizione di un protagonismo unitario dei cattolici in politica).
Se questa è la cornice in cui s’inserisce il ragionamento, le risposte agli interrogativi, per essere efficaci, vanno cercate a metà strada tra la speculazione astratta e la polemica contingente. Anche quando esse debbono obbligatoriamente attingere a riflessioni più ampie, profonde, sedimentate, non possono prescindere dal mondo di oggi e dalle sue trasformazioni.
TRA DESTRA E SINISTRA?
È questo il caso della frattura destra/sinistra. È possibile liquidarla come un residuo paretiano del tempo delle ideologie? L’evoluzione del quadro politico, a una prima lettura, sembrerebbe propendere in tal senso.
Non solo perché, al fondo, con la caduta del Muro e la fine del Novecento i presupposti di quella scissione ontologica sono venuti meno. Ma anche perché la tardiva traduzione italiana di quella dicotomia – inveratasi da noi secondo le categorie del berlusconismo vs antiberlusconismo – si è infranta sotto i colpi simultanei della pervicace volontà di trasformare una storia di fondazione (quella del centro-destra di governo) in una vicenda “eroica” personale e della decisione di svendere un conflitto politico in nome di un accordo “nazareno” poco chiaro nella sua valenza istituzionale e molto influenzato dall’interesse contingente. A tutto ciò, nell’altro campo, va aggiunta la capacità di Matteo Renzi di utilizzare un linguaggio (sui temi del sindacato, della giustizia e del lavoro) in grado di disintegrare le divisioni ideologiche e semantiche del passato.
Se restiamo nel recinto della riflessione continentale, dunque, non vi è dubbio che la coppia dicotomica destra/sinistra sia condannata a morte. Non è un caso che aumentino in Europa i governi di coalizione, “piccola” o “grande” che sia. Oltre quest’orizzonte, però, c’è una sedimentazione che proviene dal mondo anglosassone, antica quanto antichi sono i partiti, che a me oggi sembra parlare a noi italiani più di quanto possa fare ad esempio la riflessione di Bobbio, che nonostante la caduta fisica e metaforica del Muro ha ritenuto nel suo “Destra e sinistra” di poter cristallizzare il tempo delle ideologie, utilizzando come categoria dicotomica quella dell’uguaglianza.
IL TENTATIVO BIPOLARE
Il bipolarismo non ideologico, infatti, è e resta la modalità più efficace per assicurare la sovranità dell’elettore; per semplificare la sua decisione al momento del voto; per trasformare l’opzione politica in una scelta empirica e approssimativa purificandola da qualsiasi scoria d’ideologia finalistica. È il formato che meglio consente, dunque, di rappresentare la politica come il regno dell’imperfezione affrancandola da ogni pretesa salvifica.
Il bipolarismo, però, non può essere imposto per legge. Si possono adottare sistemi elettorali e modelli istituzionali che lo favoriscano, ma nessun artificio lo può garantire al cento per cento. Basterebbe guardare alle recenti vicende inglesi per convincersene: se perfino nel più antico sistema bipolare del mondo si è arrivati a un gabinetto di coalizione, vuol dire che nessuna regola e addirittura nessuna tradizione politica può assicurare a priori esiti scontati di fronte a profondi rivolgimenti del quadro generale.
L’Italia è in trasformazione e i mutamenti hanno relegato al mondo di ieri il giovane tentativo bipolare: inauguratosi nel 1994, è stato archiviato dalle ultime elezioni politiche e ancor più dalle conseguenze che ne sono scaturite. Il voto del 2013 ci ha infatti consegnato un’Italia divisa in tre poli, e nell’anno successivo si è assistito alla divaricazione tanto tra le tre anime del centrodestra (due ben definite, quella moderata di Ncd e quella della Lega, la terza un po’ meno…) quanto tra le (almeno) due anime della sinistra, senza che peraltro ciò abbia mandato in soffitta il grillismo. Oggi, insomma, il bipolarismo può configurarsi al più come un’aspirazione da perseguire, a fronte però di una contingenza che spinge in tutt’altra direzione.
La metamorfosi del Paese è solo all’inizio. I tempi imposti dal contesto istituzionale (basti pensare a quelli tecnicamente necessari per modificare la Costituzione) ci dicono chiaramente che l’opera supererà i confini della legislatura in corso. Intanto, il sistema si va assestando sullo schema di una quadriglia bipolare disturbata dalla persistente presenza di una forza populista e da qualche residuo del passato.
GEOGRAFIA POLITICA
È assai probabile, infatti, che a sinistra nascerà una forza estrema rispetto a quella che Renzi ha condotto nella famiglia della socialdemocrazia europea, compiendo una scelta che i post-comunisti che lo avevano preceduto alla guida del Pd non avevano avuto la forza di percorrere. I democratici, in tal modo, diverranno fino in fondo una forza di centro-sinistra in grado di occupare la parte centrale del sistema politico che per tanto tempo è sfuggita loro assieme alla vittoria elettorale. Dall’altra parte, il processo di differenziazione tra una forza moderata, cristiano-liberale, europeista che partecipa al processo di riforma dello Stato e dell’economia e una destra estrema antieuropea è destinato ad accelerarsi. Nessuna nostalgia potrà evitarlo. E Forza Italia, oltre ogni equilibrismo e funambolico patto, si troverà a scegliere in una posizione sempre più politicamente subalterna.
Se questa sorta di quadriglia bipolare dovesse consolidarsi, e con essa una stagione d’intenso riformismo economico e istituzionale, inevitabilmente il potenziale populistico di Grillo perderebbe parte della sua forza che andrebbe ad alimentare le due polarità estreme. E l’attuale coalizione di governo si potrebbe proiettare anche oltre i confini di questa legislatura. Da qui nasce il proposito di dar vita a un nuovo partito moderato di cui il frutto dell’esperienza di questo anno costituisca solo il nucleo iniziale.