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Xeurofobia, il vento che squassa la Francia

Finita l’enfasi per l’epocale manifestazione contro il terrorismo islamico, verrà il momento di leggere bene i numeri della Francia, senza farsi condizionare dal fuoco mediatico della guerra al nuovo Terrore. Marine Le Pen, seppur isolata dal corteo dei capi di Stato che ha sfilato per le vie di Parigi, è in cima ai sondaggi per le prossime presidenziali non certo per quello che afferma oggi davanti al sangue di vittime innocenti, ma perché ha capito prima degli altri cosa passa per la testa dei suoi concittadini: una montante repulsione per tutto ciò che sa di Europa e di diverso.

LA RABBIA DEI FRANCESI

Questa ‘’xeurofobia’’, paura dello straniero e dell’euro, rischia di diventare molto più di una parola d’ordine. Le politiche economiche della sinistra non sembrano aver dato frutti nella società ‘’bassa’’, spaccata ormai in due: da una parte, i disoccupati, espulsi in massa dal mercato del lavoro, dall’altra, la gente inoccupata delle banlieu, che delle ex colonie ha solo un imprinting genetico. Sono tutti francesi. Isolati, arrabbiati, ma gli uni contro gli altri.

CHE COSA DICE LE PEN

Bastava ascoltare la bionda e scaltra figlia di Jean Marie negli ultimi mesi per capire dove tirasse il vento che scuote la pancia dei francesi. «Ci sono tre modi per ritrovare la competitività: svalutare l’euro, abbassare i salari o smantellare lo Stato sociale. Si sono scelte queste ultime due soluzioni. Francesi e italiani», ha affermato più volte la Le Pen, «devono prendere lo stesso salario di ungheresi e polacchi. In Francia l’80% dei posti di lavoro creati l’anno scorso è a tempo determinato: come si fa con un posto del genere ad andare in banca e chiedere un mutuo, come puoi comprarti un’auto o affittare una casa? Solo l’1% della popolazione europea ha guadagnato con l’euro, ma è la moneta che deve essere flessibile, nient’altro».

LE FALLACI ILLUSIONI

Una fotografia che avrebbero potuto scattare personaggi come Alexis Tsipras e Paul Krugman, o qualche alto esponente della gauche. Ma che la leader francese ha fatto sua: in Europa le persone, prima della moneta e delle banche, devono avere diritti. Proprio quei diritti che sembrano impallidire nella patria di tutte le libertà. E’ un vuoto che per ora è stato occupato dal Front National e dalle sue ideologie autarchiche, e sarebbe un errore fatale cullarsi nell’illusione che basti la pur immensa cifra di quattro milioni di persone in piazza per capovolgere un dato di fatto che va oltre l’emozione del momento.

I NUMERI D’OLTRALPE

Le cause della Grandeur perduta nascono infatti da lontano. Alla Francia poco è servito sforare i fatidici parametri europei, aumentando la spesa pubblica. I cugini transalpini, dal 2008, hanno lasciato correre il loro disavanzo nella speranza che facesse crescita: il deficit nei loro conti pubblici si è innalzato sul pil del 3,3% nel 2008, del 7,6% nel 2009, del 7,1% nel 2010, del 5,3% nel 2011, del 4,9% nel 2012, del 4% nel 2013 ed è andato oltre nel 2014. Non che sia servito a molto. Negli stessi anni, il debito pubblico francese è comunque aumentato dal 68,2% del pil del 2008 al 94,8% del 2014 e il prodotto interno lordo veleggia tra lo zero di due anni fa e (forse) l’1% di questa annata.

IL LAVORO ALLA FRANCESE

Anche la disoccupazione non si è mostrata intimorita dal laissez-faire di budget autorizzato da Bruxelles (fino a quando?). Sempre dal 2009, i senza lavoro sono cresciuti dal 9,5% al 10,2%, pari a 3,4 milioni di persone alla ricerca di un lavoro. Da quando François Hollande è in carica, è salita per 27 mesi su 30, complessivamente di 508.600 unità. Di più: l’economia francese è al terzo anno di stagnazione e i conti pubblici peggiorano, anziché migliorare, e nonostante la doppia A delle agenzie di rating, con un deficit al 4,4%, e un debito pubblico che potrebbe toccare il 100% del Pil entro i prossimi 2 anni. E le previsioni della Commissione Europea per il 2015 non promettono nulla di buono: il pil crescerà solo dello 0,7%, il deficit sarà al 4,5% della ricchezza nazionale con il rischio di una procedura d’infrazione la prossima primavera, il debito pubblico toccherà quota 98,1% della ricchezza nazionale, la disoccupazione salirà ancora un po’, al 10,4%.

Più debole ed esposta ai venti nazionalisti sarà la Francia, più lontana diventerà l’integrazione comunitaria. Domenica 11 gennaio sono stati tutti francesi, manca molta strada per dirsi davvero europei. Non solo per un giorno.


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