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Arabia Saudita o Iran? Perché l’Occidente è a un bivio

Per comprendere il caos in cui versa oggi il Medio Oriente, spiegò lo storico Ennio Di Nolfo a Formiche.net, non si può prescindere dall’analizzare il conflitto politico e religioso che oppone le due principali “famiglie” del mondo islamico. Un braccio di ferro secolare, reso ancor più evidente oggi in Yemen, dove si assiste a una nuova guerra per procura tra due potenze come l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita.

COSA ACCADE IN YEMEN

Per Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundation, la situazione a Sana’a è complessa. Dopo aver realizzato un colpo di Stato, “gli Houthi, sciiti, hanno un mandato un messaggio di non belligeranza a Riyadh, ma i sauditi non si fidano. Per cui stanno sondando la strada di ribaltare gli equilibri di potere unificando e supportando le tribù sunnite del nord del paese e contattando le forze sunnite nel sud del Paese fedeli al presidente Hadi. Oltre ad aver stabilito un contatto con il General People Congress di Saleh (anch’esso sunnita) che, essendo in mediazione diretta con gli Houthi, sarebbe un proxy perfetto per tentare di proteggere gli interessi sauditi e la stabilità dello Yemen, che confina con il regno” oltre a trovarsi in una posizione strategica, sullo stretto a cavallo tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden.

IL FRONTE SUNNITA

Quello yemenita è solo un tassello di uno scontro più ampio, che tocca diversi Paesi e nel quale s’è insinuato il Califfato nero di al-Baghdadi. E, nella definizione di nuovi equilibri regionali, sta rapidamente conducendo a un riavvicinamento tra Arabia Saudita e Qatar. “I due Paesi, entrambi sunniti, – prosegue la Bianco – provano a rafforzare il loro legame. Queste manovre partono da una debolezza di Riyadh, che attraversa un momento incerto. In poco tempo, si è ritrovata dall’essere quasi la “vincitrice” della controrivoluzione della Primavera araba, a trovarsi accerchiata. Sono tante le cose che la preoccupano. In ordine: lo Yemen, l’Isis, la questione iraniana, quella siriana e infine la Libia, dove in verità Re Salman, rispetto ad Abdullah che sosteneva Tobruk (il governo riconosciuto dall’Occidente, ndr), sta tenendo una posizione più defilata, segno di un altro cambiamento strategico. Anche in Egitto, infatti, al-Sisi non è più considerato l’unico interlocutore possibile“.

LE RELAZIONI TRA RIYADH E TEL AVIV

Sullo sfondo, a offrire collaborazione a Riyadh, c’è Israele. La tacita cooperazione negli ambiti di sicurezza e intelligence che ha caratterizzato la relazione clandestina di Tel Aviv con l’Arabia Saudita – si legge sul Jerusalem Post – rimarrà intatta anche con il passaggio del potere nelle mani di Re Salman. “I cambiamenti che il Medio Oriente ha sperimentato in questi anni hanno creato una serie di interessi comuni tra i due Paesi“, sottolinea Michal Yaari, esperto di politica estera saudita e lecturer della Open University.
Come Israele, anche Riyadh è restia ad accettare i venti radicali di cambiamento che hanno soffiato sulla regione. “Il più grande nemico per entrambi i Paesi è l’Iran – prosegue lo studioso – , ma anche i gruppi terroristici radicali come lo Stato islamico, che minacciano l’ordine regionale in Medio Oriente“. È questo a invogliare i due Stati alla collaborazione (seppur con un approccio diverso, suggerisce Haaretz), nonostante il conflitto arabo-sionista sia tuttora irrisolto.

TIMIDI APPROCCI

Nonostante tutto, qualche tentativo di avvicinamento tra sauditi e iraniani c’è stato e continua ad esserci. Hashemi Rafsanjani, ex presidente oggi consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei in materia di politica nazionale, ha auspicato recentemente in un’intervista – come ricorda Al Monitor – che i due Paesi tornino a parlarsi. “Solo una cooperazione tra Riyadh e Teheran – ha spiegato – può sanare i problemi regionali“, come quello del terrorismo. Il politico iraniano si dice convinto che i rapporti tra le nazioni possano migliorare di nuovo. Ad esempio, nell’ultimo accordo tra siglato proprio fra Rafsanjani e Re Abdullah, i due avevano concordato, con scarso successo, una commissione per permettere ai chierici di affrontare le differenze religiose. Nulla è cambiato, ma il modello potrebbe essere replicato.

LE MOSSE DELL’OCCIDENTE

Nel frattempo le tensioni si sono acuite e, se non affrontate diplomaticamente, potrebbero presto dar vita a una miscela esplosiva, suggeriscono molti osservatori occidentali, che guardano all’evoluzione del quadro mediorientale in un’ottica molto diversa da quella del recente passato.
Di fronte a questo cambiamentocommenta Michael Axworthy sul Guardian i governi occidentali sembrano essere a un bivio. Non molto tempo fa, eravamo alle prese con una campagna di bombardamenti per rimuovere la dittatura di Assad in Siria (sostenuta dall’Iran, ndr). Ora, solo 18 mesi più tardi, la prosecuzione di quel regime sembra essere una necessità – anche se piuttosto sgradevole – per la politica occidentale nella regione, se la minaccia molto più pericolosa dell’Isis non sarà contenuta o rimossa“.
Teheran, è la tesi dominante, è un prezioso alleato nel contrasto agli jihadisti in Siria e in Irak. Sarebbe controproducente isolarla solo per tenere buoni due vecchi alleati di Washington, come Arabia Saudita e Israele, che la vedono come il fumo negli occhi. L’alleanza con Riyadh, in parole povere, sarebbe passata dall’essere un elemento di stabilità in Medio Oriente a un impedimento per la pace.
I nostri atteggiamenti verso l’Iran – rimarca ancora l’editorialista britannico – sono mutati anche in virtù dei lenti progressi del negoziato sul nucleare iraniano“. Ecco perché, conclude Axworty, l’Occidente dovrebbe porsi un quesito fondamentale: “È tempo di fare dell’Iran un nostro amico e dell’Arabia Saudita un nemico?“.


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