“Una soluzione militare in Libia che porti una delle due parti a sopravanzare l’altra non è realistica e non è probabilmente quello che occorre per stabilizzare il Paese“. A crederlo è l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino, che ha rilanciato in un convegno dello Iai la posizione italiana, ribadita negli scorsi giorni dal premier Matteo Renzi.
Il diplomatico crede ancora possibile un’evoluzione positiva del conflitto che infiamma Tripoli: “La situazione libica – ha spiegato ieri pomeriggio durante il convegno – è sicuramente molto difficile, ma vi sono ancora delle possibilità di giungere ad un’intesa“.
Il clima nel Paese è però tutt’altro che sereno. Dopo essere rimasta a lungo l’unica ambasciata di “peso” a rimanere aperta in Libia, anche la sede diplomatica italiana ha capitolato lo scorso 15 febbraio, invitando i cittadini italiani a lasciare l’ex regno di Muammar Gheddafi.
L’EVOLUZIONE DEL CONFLITTO
Nonostante il lavoro diplomatico dell’Onu, la Libia è minata sempre più da una sanguinosa guerra civile, nella quale si è insinuato lo Stato Islamico. Mentre la fazione islamista di Tripoli e il governo legittimo rifugiatosi a Tobruk si facevano la guerra sostenuti da potenze regionali (i primi da Turchia e Qatar, i secondi da Egitto ed Emirati Arabi), i jihadisti hanno avuto modo di rafforzarsi in “silenzio”, conquistando terreno. Mentre l’Occidente ha voltato per troppo tempo gli occhi dall’altra parte.
“Con la rivoluzione – ha sottolineato Buccino – si è aperta una fase che sembrava di essere di successo e stabilizzazione del Paese. Da allora, invece, c’è stata una lenta ma inarrestabile escalation. Bernardino Leon, commissario speciale dell’Onu per la Libia, sta tentando una mediazione: mettere allo stesso tavolo le parti per discutere un’intesa. La situazione non è perduta, né compromessa, ma bisogna trova un accordo tra le parti. Non è possibile contrastare veramente il terrorismo in un Paese diviso“.
I RISCHI
Bisogna fare in fretta, avverte Buccino, e se ne stanno rendendo conto gli stessi libici. I conti del Paese sono in rosso e si rischia la bancarotta: “Ci sono due aspetti in Libia che inducono a qualche risposta positiva: la risposta al terrorismo; e poi la consapevolezza che il Paese non può sopravvivere in questa situazione economico-finanziaria, con le imprese ferme e la produzione di petrolio ridotta drasticamente. Allo stesso tempo, però, la crisi economica porta ad un rafforzamento delle organizzazioni criminali, interessate a traffici illegali: esseri umani, armi, generi sussidiati e droghe. Ue e Italia stanno sostenendo lo sforzo della Nazioni Unite. L’Onu e Leon hanno raggiunto qualche risultato importante con le riunioni a Ginevra e Gadames. Adesso vi è la speranza che nei prossimi giorni possa esserci una riunione con tutte le componenti in Marocco. I preparativi sono in corso e si spera che nell’occasione emerga il nome di un probabile primo ministro della nuova Libia“.
COSA FARE
Per l’ambasciatore serve consapevolezza, dentro e fuori la Libia, che una soluzione militare non porterebbe a una chiara vittoria, ma rafforzerebbe il terrorismo e in particolare lo Stato Islamico, che già si fa strada avanzando o attraendo gli jihadisti di altri gruppi. “Solo a questa condizione potrà nascere un governo di unità nazionale“, che arresti la moltiplicazione delle istituzioni, la proliferazione di armi e crei un vero esercito nazionale. Quale modello costituzionale per una nuova Libia? C’è possibilità che il Paese venga diviso? “L’obiettivo della secessione non è perseguito da nessuno, i libici vogliono una Libia unita. C’è voglia di autonomia territoriale ma in un quadro unitario“. Quanto a un ruolo occidentale sul territorio, quando nascerà un governo di coalizione, conclude Buccino, “occorrerà sostenerlo nelle modalità che verranno ritenute più opportune dalla comunità internazionale per opporsi a chi vuole impedire che la stabilizzazione abbia successo. Ma anche costruire un progetto di società per i libici stessi, che devono trovare dentro di loro i motivi per stare insieme“.