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Che cosa è successo tra Telecom, Metroweb, Cdp e Palazzo Chigi

Tutto accantonato o solo rinviato? È la domanda che ci si sta ponendo dopo che il consiglio di amministrazione di Telecom Italia, ieri, non ha approvato il dossier Metroweb. Ovvero l’ingresso del gruppo capitanato da Marco Patuano nella società milanese della fibra ottica, rilevando la quota del 53% detenuta dal fondo F2i. O meglio, l’entrata dell’ex monopolista con la rete fissa in rame pure nella società che si candida sempre più a realizzare la rete di nuova generazione, non solo a Milano (con rischi antitrust non proprio banali).

Lo stop all’operazione, secondo la ricostruzione di Formiche.net, sembra più che altro un modo da parte del gruppo presieduto da Giuseppe Recchi per alzare alzare la posta. Le parole odierne di Patuano s’inseriscono proprio in questo scenario: con Metroweb – ha detto il capo azienda di Telecom Italia – “ci troviamo in una situazione particolare da dover affrontare. Una situazione in cui volendo fare molti investimenti, sembriamo una minaccia”.

Ma su che cosa Telecom punta ad alzare la posta? Le due condizioni che l’ex monopolista continua a porre come condizioni preliminari sono: avere il 51% della newco con 800 milioni di capitale sottoscritti da Telecom e Metroweb per sviluppare ex novo la rete di nuova generazione; non avere altri colossi del settore come ad esempio Vodafone tra i soci.

Queste due condizioni non avrebbero avuto il via libera completo né da parte del governo Renzi né da parte del presidente di Cdp, Franco Bassanini, che è anche presidente di Metroweb. L’esecutivo e i vertici di Cassa depositi e prestiti guidata dall’ad, Giovanni Gorno Tempini, gradirebbero un ingresso di Telecom, non immediato al 51% ma diluito nel tempo, legato a un programma definitivo di investimenti.

“Il dossier è solo accantonato, non rottamato”, dice un addetto ai lavori. Si vedrà.


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