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Ecco le tentazioni elettorali di Renzi (nella tonnara)

Magari avesse ragione Michele Arnese a immaginare o proporre d’immaginare la manina o soltanto una foto di Vladimir Putin sul comodino dietro l’incontro fra Silvio Berlusconi e il segretario leghista Matteo Salvini, dopo lo strappo intervenuto fra il leader di Forza Italia e l’altro Matteo. Cioè Renzi, il segretario del Pd e presidente del Consiglio che ha preferito lacerare il famoso “patto del Nazareno” con Forza Italia sulle riforme piuttosto che estenderlo ad una scelta veramente condivisa del successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Come lo stesso Berlusconi reclamava, Renzi gli aveva lasciato sperare e le componenti più antiberlusconiane del Pd, quel che resta della sinistra vendoliana e i grillini temevano invece come la peste.

Ci sarebbe grande polpa politica, di sapore addirittura internazionale, una visione comune dei rischi d’implosione degli equilibri europei, ma anche extra-europei, sopraggiunti alla caduta del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, se Berlusconi e Salvini avessero trovato la voglia e il modo di tradurre in termini di politica interna l’ostilità o diffidenza che li ha già accomunati di fronte al rischio di estremizzare con le sanzioni ed altro, nella gestione della complicatissima crisi ucraina, la Russia di Putin. Senza il cui concorso diventerebbe ancora più difficile e drammatico di quanto già non sia di suo il contrasto al fondamentalismo e al terrorismo islamista che minaccia ormai il mondo. Già ai tempi dell’Urss, d’altronde, si sottovalutò colpevolmente nell’area rovente del Medio Oriente l’azione che Mosca avrebbe potuto svolgere contro i talebani, progenitori dei califfati dei giorni nostri.

Purtroppo, più dei buoni rapporti con Putin che accomunano Berlusconi e Salvini, si ha la sensazione che siano in gioco nell’operazione di riavvicinamento tra Forza Italia e Lega più modeste questioni di cabotaggio interno e altrettanto modeste aspettative elettorali, in vista delle prove regionali dei prossimi mesi. Ma anche nel timore che la confusione esistente nell’area che fu di centrodestra invogli Renzi a cercare l’incidente di una crisi, magari sulla strada delle riforme complicatasi con la denuncia del “patto del Nazareno” da parte di Berlusconi, per anticipare già a quest’anno, o al 2016, la fine della legislatura auspicata solo a parole alla scadenza ordinaria del 2018.

E’ un timore, questo delle elezioni anticipate, che dalle parti di Forza Italia ogni tanto si cerca di esorcizzare pensando che senza una nuova legge elettorale, concepita peraltro solo per la Camera immaginando un piccolo Senato ancora di là da venire, partorito dai Consigli Regionali, si potrà andare alle urne solo con il sistema elettorale proporzionale, senza premio di maggioranza, prodotto dai tagli della Corte Costituzionale al cosiddetto Porcellum del centrodestra applicato dal 2006 in poi. Un sistema che potrebbe obbligare Renzi dopo le elezioni a cercare un’intesa di governo con Berlusconi.

Ma da qualche giorno il buon Peppino Calderisi, ingegnere di scuola e provenienza radicale ma di casa da tempo nel centrodestra con la sua riconosciuta e sperimentata competenza in materia di leggi elettorali e di referendum, va sbracciandosi nei corridoi di Montecitorio per avvisare gli amici che alle elezioni Renzi potrebbe riuscire ad arrivare con una mossa davvero a sorpresa, magari aiutato dal nuovo capo dello Stato: rispolverando la legge che porta proprio il nome di Sergio Mattarella, sia pure in latino, ed esordì nel 1994. Una legge – maggioritaria e a collegio uninominale per i tre quarti dei seggi, proporzionale e a listini bloccati per il rimanente quarto – che calzerebbe a pennello sulle dimensioni e sulle caratteristiche del Pd renziano a vocazione e consistenza ormai maggioritaria: tanto a pennello, da garantirgli in abbondanza, e da solo, di fronte alla frammentazione altrui, il controllo del Parlamento, anche nell’attuale versione bicamerale.

E’ proprio questa legge chiamata come il capo dello Stato che un altro oriundo radicale come Roberto Giachetti, accasatosi invece nel Pd e ora vice presidente della Camera, rimprovera da tempo ai suoi compagni di non avere voluto preferire dal primo momento ad ogni altra ipotesi di riforma, prima e dopo l’intervento della Corte Costituzionale sulla disciplina applicata dal 2006 in poi.

In questa situazione, e con questi rischi, il centrodestra alla ricerca convulsa di una nuova identità e articolazione, Berlusconi che minaccia di espulsione il ribelle Raffaele Fitto e insegue Salvini per contenerne la presa sul suo vecchio e perduto elettorato azzurro, Salvini che risponde alzando continuamente la posta, gli alfaniani attratti di giorno da Renzi e di notte da Berlusconi, i grillini in scissione o espulsione continua, i fratelli d’Italia sempre in braghe di tela, i vendoliani attendati sotto l’Acropoli, sembrano francamente agitarsi tutti come in una tonnara, fra le risate di Renzi.


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