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Grecia e derivati, parliamo della memoria corta degli Usa?

Che memoria corta hanno gli americani. Per non dire dei mezzi d’informazione, anche autorevoli. Nessuno che ricordi o faccia ammenda. Eppure la crisi che stiamo vivendo in Europa è partita dai terminali dei computer di banche d’affari e fondi a stelle e strisce e dei loro emuli inglesi.

In questi giorni sono tutti lì a tifare per il premier greco Tsipras contro l’austerity imposta dalla troika e dalla perfida Germania, ma nessun commentatore ha osato anche solo evocare due paroline: mutui subprime. Da lì è nata l’epidemia, da lì è scoppiata la bolla dei derivati, arrivati a valere dieci volte il Pil mondiale, senza che nessuno sapesse davvero che tipo di prodotto finanziario fossero e che cosa (e quali rischi) comportassero. A Wall Street come ad Atene, che di quel veleno ha abusato per truccare i conti e finire in bancarotta.

Oggi è tutto un fiorire di analisi ovviamente alludenti al mito ellenico, alla forza degli Dei, ad antichi racconti di finanza preistorica, come ha fatto qualche giorno fa l’austero Economist, che in un articolo dal titolo ‘’Debito, moralità e ciclo’’, ha addirittura scomodato il governatore della Babilonia Hammurabi che imponeva nel 1.800 avanti Cristo tassi d’interesse del 33%. Non il Financial Times, né il Wall Street Journal, nel celebrare la crescita economica degli Usa e l’aumento dell’occupazione, hanno avuto il coraggio di guardarsi alle spalle e di fare ammenda: è colpa delle norme europee se non cresciamo, ammoniscono in coro, non di chi ha caricato di altri 5.000 miliardi di euro i debiti dei Paesi dell’eurozona per evitare che fallissero le banche del Vecchio Continente filiali di quelle statunitensi. Nemmeno Barack Obama, che ha annunciato di non aver più battaglie da fare perché le ha vinte tutte, ha avuto il buon senso di chiedere scusa a chi, ancora oggi, deve fronteggiare 26 milioni di disoccupati e affidarsi ad un banchiere centrale per rilanciare l’economia e abbattere la deflazione.

La storia, anche quella brutta, può però ripetersi e i cicli di up and down in borsa sono sempre più corti. 2001-2008-2015: dopo new economy e immobiliare, quest’anno sarà di nuovo quello di uno sboom per la maledizione del sette? Avvisaglie non ce ne sono, anche se una nuova tipologia di bond altamente rischiosi sta attraendo investitori a caccia di alti rendimenti. Si tratta di obbligazioni che hanno come sottostante i mutui più in sofferenza, quelli legati a case pronte ad essere pignorate. Lo ha ricordato il New York Times, spiegando come da inizio 2014 siano state lanciate 28 obbligazioni legate a 7 miliardi di dollari di prestiti inesigibili.

Nel 2013 furono 72 per 11,6 miliardi di dollari. Il mercato per questo tipo di obbligazioni (su cui, si badi bene, nessuna agenzia di rating si è ancora espressa) è ancora relativamente piccolo rispetto alla popolarità dei bond ipotecari nel biennio 2007-2008 ma è bene non abbassare la guardia, perché è visto in crescita per due motivi: da un lato, gli investitori sono a caccia di rendimenti attraenti (il 4% contro il 2,4% circa del Treasury a 10 anni); dall’altro, si stima che ci siano ancora in circolazione in Usa prestiti in sofferenza per la bellezza di 660 miliardi di dollari. Una montagna capace di schiacciare la solidità di qualsiasi paese. A comprare questi titoli avvelenati sono i grandi fondi comuni americani, mentre a vendere, oltre alle banche, ci pensa il Dipartimento per la Casa e lo Sviluppo Urbano, che ha iniziato appunto a ripiazzarli per evitare perdite a carico dei contribuenti. Un gioco del cerino molto pericoloso che rischia di bruciare qualcuno.

D’altro canto, l’amministrazione Obama è riuscita a far pagare in parte gli untori della grande pandemia finanziaria. Il conto per ora è di cinquanta miliardi di dollari (su un totale di 100 miliardi, comprese quelle estere), più o meno un quarto delle tasse che gli italiani hanno pagato in più con le varie manovre negli ultimi sei anni. A tanto ammonta il tesoretto che arriverà nelle casse delle autorità americane in seguito alle multe inflitte alle banche per violazioni sulla vendita di titoli garantiti da mutui.

La soglia dei 50 miliardi è stata raggiunta nel 2013 con il patteggiamento record annunciato da Bank of America che verserà 16,65 miliardi di dollari (di cui 7 andranno a risarcire i consumatori) per chiudere definitivamente ogni disputa legale. A fare i conti è stato il Financial Times, secondo cui l’escalation delle maxi-sanzioni non finirà qui e ai soldi incassati potrebbero aggiungersi altri 150 miliardi (uno lo pagherà probabilmente Standard & Poor’s per aver certificato come buioni propri i titoli legati ai mutui subprime).

È evidente che si tratta di una goccia nel mare: in Europa il Pil è caduto di oltre sei punti percentuali rispetto al 2008, il debito pubblico complessivo è cresciuto di 5.000 miliardi di euro, i disoccupati sono aumentati di sette milioni e mezzo e le banche cosiddette ‘’ombra’’, cioè fondi di private equity e peer to peer non convenzionali da sole hanno prestato nel 2013 70 miliardi di dollari, solo 10 in meno rispetto sempre all’anno del fallimento di Lehman. Tutto è tornato alla normalità nell’universo parallelo della finanza di Wall Street e della City, che hanno macinato record su record, solo gli Stati europei e con essi i cittadini, si sono impoveriti.

Chi ha messo in queste condizioni l’Europa si risparmi almeno di farle la morale.


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