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Che cosa succede tra Israele e Stati Uniti

Sale la tensione tra Stati Uniti e Israele. Quando mancano sei giorni al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso americano, l’amministrazione Obama condanna le dichiarazioni del premier israeliano, critico per il possibile accordo sul nucleare con l’Iran.

Questa posizione, nell’ottica di Tel Aviv, mette a rischio i rapporti tra il suo Paese e Washington. ”Sembra che le potenze occidentali abbiano ceduto sul loro impegno di impedire che l’Iran ottenga armi nucleari”, ha detto Netanyahu parlando delle trattative tra Teheran e il gruppo del 5+1.

IL BRACCIO DI FERRO

In una conferenza del suo partito, il Likud, il premier israeliano ha detto: “Hanno accettato il fatto che l’Iran svilupperà gradualmente nei prossimi anni le capacità per produrre materiale fissile per molte bombe nucleari. Forse loro possono vivere con questo, ma io non posso”. ”Io rispetto la Casa Bianca e il presidente degli Stati Uniti – ha aggiunto – ma su una materia così decisiva, che può determinare o meno la nostra sopravvivenza, devo fare di tutto per prevenire un così grande pericolo per Israele”. Una reazione che si giustifica sia con l’imminenza delle elezioni anticipate in Israele (il 17 marzo Netanyahu sarà di nuovo candidato), sia con valutazioni strategiche ma che hanno dato vita a un incidente diplomatico.

RAPPORTI ROTTI?

Il primo ministro di Tel Aviv – spiega l’agenzia Reuters – ha rifiutato ieri l’invito ad incontrare i senatori democratici in privato nella visita a Washington in programma la prossima settimana. Ha accettato invece un invito da parte dei leader repubblicani a partecipare ad una seduta congiunta del Congresso il 3 marzo dove intende parlare dell’Iran. La scelta ha scaldato gli animi della Casa Bianca, secondo cui la mancata consultazione dei leader del Gop con Barack Obama riguardo la visita di un premier straniero costituirebbe “una violazione del protocollo“. E ha avuto come risultato che sia il presidente democratico sia il suo vice Joe Biden si siano detti già impegnati in occasione del viaggio negli Usa del premier israeliano. Ma la condanna dell’amministrazione Usa ha oltrepassato il perimetro procedurale e si è estesa ai rapporti tra i due Paesi. Il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano, Susan Rice, ha rimarcato che il discorso che Netanyahu terrà non è solo “distruttivo” ma anche ”infelice” per le relazioni tra Usa e Israele.

LE DIVISIONI

Relazioni che, racconta il New York Times citando alcuni osservatori, “non sono mai state così terribili come oggi“. Il rischio maggiore, sottolinea a Radio Israele Eytan Gilboa, un esperto di relazioni israelo-americane della Bar-Ilan University, è che le parole della Rice, definite “senza precedenti” e difficilmente possibili senza l’avallo di Obama, abbiano rotto il tradizionale sostegno bipartisan che ha caratterizzato finora la politica americana rispetto all’alleanza con Tel Aviv. La frattura c’è: Obama, scrivono molti commentatori, considera la visita di Netanyahu come un estremo tentativo di sabotare il negoziato sul nucleare iraniano, che invece la Casa Bianca considera prioritario per la sua politica estera. Per raggiungere quest’obiettivo e facilitare il lavoro in casa a Rouhani, scrive il Wall Street Journal – i negoziatori starebbero cedendo su alcuni aspetti dell’accordo, che potrebbe essere “a tempo” (si parla di 20 anni). Mentre Netanyahu vorrebbe che si siglasse un’intesa che impedisca a Teheran di produrre materiale nucleare senza se e senza ma.

I LEAK DI AL JAZEERA

Ad aumentare gli attriti tra i due Paesi è arrivato un nuovo spygate. Negli scorsi giorni, il quotidiano britannico Guardian e la tv panaraba Al Jazeera hanno pubblicato documenti segreti dell’intelligence di vari Paesi. Tra questi un cablo in cui, proprio mentre Netanyahu parlava all’Onu nel 2012, illustrando il pericolo dell’atomica in Iran, i servizi segreti israeliani dimostravano il contrario smentendo il premier israeliano. Nel testo del Mossad si legge che l’Iran “non stava svolgendo l’attività necessaria per la produzione di armi“, nucleari. E ancora: “Anche se l’Iran ha accumulato uranio arricchito non sembra che tale quantità stia aumentando“. Proprio questi documenti, sottolineano diversi osservatori, sarebbero una potente arma nelle mani di Obama per indebolire la posizione del primo ministro di israeliano.

LE CONVERGENZE CON RIYADH

Tel Aviv però non è ferma. A un deterioramento dei rapporti con Washington, fa da contraltare un rafforzamento del dialogo tra Israele e Arabia Saudita. La tacita cooperazione negli ambiti di sicurezza e intelligence che ha caratterizzato la relazione clandestina di Tel Aviv con l’Arabia Saudita sembra rimanere intatta anche con il passaggio del potere nelle mani di Re Salman. “I cambiamenti che il Medio Oriente ha sperimentato in questi anni hanno creato una serie di interessi comuni tra i due Paesi“, ha spiegato al Jerusalem Post Michal Yaari, esperto di politica estera saudita e lecturer della Open University.
Come Israele, anche Riyadh è restia ad accettare i venti radicali di cambiamento che hanno soffiato sulla regione. “Il più grande nemico per entrambi i Paesi è l’Iran – prosegue lo studioso –, ma anche i gruppi terroristici radicali come lo Stato islamico, che minacciano l’ordine regionale in Medio Oriente“. È questo a invogliare i due Stati alla collaborazione (seppur con un approccio diverso, suggerisce Haaretz), nonostante il conflitto arabo-sionista sia tuttora irrisolto. E allo stesso tempo ciò contribuisce ad incrinare i rapporti dell’Occidente tanto con Riyadh, quanto con Tel Aviv.



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