L’episodio è gustoso come un vasetto di Nutella. Lo riferirono i presenti ma da allora – passato di bocca in bocca – è possibile che sia stato confezionato con qualche variante, pur mantenendo intatti i suoi ingredienti principali.
Alba, novembre 1994. Il neo presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si reca in elicottero per valutare i danni della tremenda alluvione che ha sconvolto tutto il Piemonte. Appena atterrato scorge tra gli spalatori di fango il cavalier Michele Ferrero, da molti anni uno dei principali inserzionisti delle sue televisioni commerciali. Gli si avvicina sorridente per stringergli la mano, ma questi lo guarda dritto negli occhi e replica secco: «Un presidente del Consiglio prima si reca in visita al Sindaco. Poi, se vuole, va a salutare gli amici». Una piccola storia che però molto rivela tanto del carattere di Berlusconi quanto di quello del grande industriale che da poco ci ha lasciati.
Da quest’ultimo avrebbe parecchio da imparare però anche l’attuale premier Matteo Renzi. Ferrero ha costruito le fortune sue e della sua gente senza spendere alcuna parola di troppo in pubblico ma semplicemente grazie a continui, robusti investimenti in nuove linee di prodotto. L’attuale premier, che si preoccupa ogni giorno di imporre ai media una “narrazione” condivisa delle sue gesta, meglio farebbe a seguire il suo esempio. Magari impegnandosi a invertire finalmente un pericoloso trend della nostra finanza pubblica.
Rispetto al 2009 l’Italia ha infatti tagliato del 30% la spesa pubblica per investimenti (passata così dai 54,2 miliardi del 2009 ai 38,3 miliardi del 2013), con una riduzione di circa 15,9 miliardi di euro. In termini reali si deve tornare indietro di dieci anni (e quindi al 2003) per riscontrare un dato inferiore. Nello stesso periodo la spesa pubblica complessiva è però comunque cresciuta di 12,8 miliardi (fino agli 817,5 del 2013), con un aumento attribuibile solo in parte all’incremento degli interessi sul debito pubblico (+8,7 miliardi).
Tradotto su basi relative, l’Italia spende ora solo il 2,4% del PIL per investimenti pubblici (il calo rispetto al 2009 è di un intero punto di PIL), mentre è salita la spesa per interessi (+0,4% in rapporto al PIL) e le altre voci di spesa (pari al 43,3% del PIL) hanno seguito l’andamento dell’economia italiana. Significa che nel nostro Paese si preferisce ancora dilapidare i proventi delle tasse in una spesa corrente spesso improduttiva (quando non parassitaria) piuttosto che favorire con investimenti selettivi la creazione di solide basi per un serio rilancio della nostra produttività.
Ne consegue una morale che non conforta: egoista come devono essere tutti gli imprenditori, il cavalier Ferrero ha saputo creare dal nulla ricchezza per decine di migliaia di persone; preoccupato di non perdere consenso come tutti i suoi predecessori, l’affabulatore Renzi rischia invece di renderci tutti più poveri (anche di speranze). Urge un deciso cambio di rotta.
Simone Bressan
Direttore Centro studi “ImpresaLavoro”