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Le imprese italiane e la “educazione” alla responsabilità

Confindustria lancia un appello a premiare la responsabilità sociale d’impresa. E un invito al mondo bancario per farlo assieme. Peraltro, in un momento in cui sembrano delinearsi le migliori condizioni per forzare la mano. L’appello è stato lanciato lunedì scorso dal presidente del comitato tecnico Credito e finanza di Confindustria Vincenzo Boccia, il quale ha sottolineato come sia «necessario che le imprese italiane siano educate nell’importanza di informare quanto realizzano» in termini di Csr. Educate, significa anche premiare. Dunque, ha proseguito, «sarebbe bene valutare assieme all’Abi l’idea di un rating sulla responsabilità sociale dell’impresa in una chiave di lettura complementare al bilancio in termini qualitativi e quantitativi».

L’idea di un rating si traduce, appunto, in un meccanismo premiante per quelle aziende che dimostrano di avere un equilibrio più solido anche in termini di sostenibilità (da intendersi quale responsabilità sociale d’impresa). È significativo che Boccia abbia parlato nell’ambito del convegno Bbs-Unioncamere-Fondazione Symbola, organizzato lunedì scorso a Roma, e il cui obiettivo era avviare una riflessione istituzionale sulle Modifiche della direttiva 2013/34/Ue  votate dal Parlamento europeo lo scorso ottobre, che prevedono l’obbligo delle informazioni non finanziarie (leggi, il reporting sociale) in bilancio a partire dal 2017. Visto che arriverà questo obbligo, suona il pensiero di Confindustria, occorre spingere in questa direzione e, dunque, proporre un meccanismo incentivante per la reportistica di sostenibilità.

Boccia ha lanciato la proposta in un momento che potrebbe rivelarsi piuttosto favorevole. Mentre da un lato (quello europeo) è in arrivo l’obbligo di reportistica, da un altro lato (quello italiano) si stanno moltiplicando gli sforzi per rendere premiante il sistema del rating di legalità. Di fatto, l’authority anticorruzione sta predisponendo modelli di bandi pubblici capaci di valorizzare il suddetto rating: chi ha un giudizio più alto, viene favorito nell’assegnazione.

Il punto è quello di sfruttare il doppio corridoio. Visto che occorrerà recepire la Direttiva, perché non farlo coordinandola col rating di legalità? Quest’ultimo, oggi, comprende anche l’aspetto Csr delle aziende, ma in modo vago e indefinito. Potrebbe, invece, assegnare punti in modo assai più concreto legandosi alla presenza o meno di una reportistica di Csr. In questo modo, si incentiverebbe la reportistica stessa. E si risolverebbe il problema di un rating di legalità troppo poco recettivo dell’etica aziendale.

È auspicabile che questa ipotesi venga esaminata con attenzione nei prossimi mesi, nei quali si dipanerà il percorso dell’adozione italiana della Direttiva. Un percorso che imporrà di risolvere i diversi nodi che imbrigliano la regolamentazione del mondo sostenibile nazionale.

Il convegno, peraltro, ha evidenziato come sia già alta l’attenzione da parte della rete delle Camere di commercio, il che rende prevedibile anche un loro appoggio all’ipotesi di meccanismi incentivanti il reporting sociale. Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere, ha spiegato come «la trasparenza introdotta dalla direttiva può rappresentare un di più di competitività per le pmi italiane che vorranno volontariamente aderire alla nuova normativa. Secondo le ricerche – ha aggiunto Gagliardi – le imprese “coesive”, cioè che hanno comportamenti responsabili verso la comunità, sono sistematicamente più competitive delle altre ed accrescono fatturato ed esportazioni in maniera più consistente».

«L’approccio giusto alla responsabilità sociale delle imprese – ha detto il sottosegretario al ministero del Lavoro e politiche sociali Luigi Bobba nel suo intervento – è quello legato alla convinzione che ‘non si fa per buon cuore, ma perché c’è convenienza’». Sulla responsabilità sociale d’impresa il Governo si sta muovendo in due direzioni, c’è in Parlamento la legge comunitaria sulla quale si potrebbe ragionare, una direttiva relativa agli appalti che dedica una parte alle clausole sociali, mentre l’altra direzione riguarda la riforma del Terzo settore. «Nella delega – ha aggiunto Bobba – c’è un articolo che tende a riformare la legge 55 sulle Imprese sociali del 2006 e lì si potrebbe lavorare per una nuova generazione di imprese volte alla innovazione sociale».

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