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Libia, tutti i progetti di Renzi, Gentiloni, Pinotti e Latorre

Dopo l’allerta dell’ambasciata di Roma a Tripoli, è iniziata l’evacuazione: gli italiani stanno lasciando la Libia. A tornare in patria sono tecnici, dirigenti e anche italo-libici che da tempo vivevano nell’ex Paese di Muammar Gheddafi.

Per la Farnesina si tratta solo di una “operazione di alleggerimento”, resa però necessaria dall’avanzata del l’Isis nello Stato nordafricano; una minaccia che ha spinto l’Italia a invocare immediatamente un intervento militare sotto l’egida dell’Onu, guidato dalla Penisola con al fianco un’ampia coalizione di Paesi occidentali e della regione.

ALLARME A ROMA

L’allarme è elevato anche a Roma, dopo che ieri, in un’intervista a SkyTg24, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha detto che l’Italia è pronta a “combattere in Libia in un quadro di legalità internazionale“, sottolineando che la Penisola “è minacciata da quello che sta accadendo in Libia. Non possiamo accettare l’idea che a poche miglia di navigazione ci sia una minaccia terroristica“, aveva sottolineato il titolare della Farnesina.
Frasi che hanno scatenato la furia dei drappi neri, che dalle frequenze della loro radio ufficiale, al-Bayan ha citato per la prima volta l’Italia, riportando le dichiarazioni di Gentiloni sulla Libia e definendolo “il ministro degli Esteri dell’Italia crociata“.

I PIANI DI GENTILONI

Successivamente, in un convegno del Pd su “Come cambia il mondo”, il ministro degli Esteri italiano è tornato sulle sue parole, spiegando la strategia di Roma per la crisi libica. Gentiloni – riporta il Corriere della Sera – “ha… sottolineato che parlava di lotta al terrorismo, non di guerra sul campo. Rimarcando che il nostro intervento sarà all’interno di una iniziativa Onu. Ma che «non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità». «Certamente — ha specificato — questa battaglia va fatta in una cornice Onu, ma non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità per ragioni geografiche, economiche e di sicurezza». «Nessuno pensa a fare interventi al di fuori di un progetto politico — ha ribadito — ma dobbiamo renderci conto che il lavoro politico diplomatico deve essere una priorit໓. Di questo e di altro parlerà lo stesso ministro giovedì prossimo, quando riferirà in Parlamento proprio sulla linea del governo sulla Libia.

LA LINEA DI RENZI

In queste ore concitate, anche il premier Matteo Renzi ha illustrato qual è la posizione di Roma rispetto a quanto accade a poche miglia nautiche dal nostro Paese. Palazzo Chigi, di fronte ai partner dell’Unione, aveva già formalizzato a Bruxelles la disponibilità italiana “a intervenire in Libia in presenza di un mandato delle Nazioni Unite“.

Ma l’Italia, ha spiegato Renzi agli interlocutori internazionali – ha sottolineato Repubblica – è più che disponibile a fare di più: “«Siamo pronti anche a ricevere un mandato più concreto», ossia militare. Già, Roma per arginare il caos libico è pronta anche a guidare, mettendoci uomini e mezzi, una missione di interposizione tra le diverse parti in causa in Libia sul modello di Unifil in Libano. Ma le condizioni devono permetterlo, per un’azione di peacekeeping serve un difficile accordo preliminare tra i combattenti sul campo e un governo di unità nazionale. “«In tutti i contatti — racconta Renzi ai collaboratori con in quali esamina lo scacchiere libico — i partner internazionali dicono che l’Italia guiderà l’operazione dell’Onu ». L’Italia d’altra parte ha una presenza unica a Tripoli, la nostra è la sola ambasciata ancora aperta nella capitale libica e poi c’è la storica presenza di Eni sul terreno. E il governo è già al lavoro con contatti sul campo, visto che il piano di Renzi e Gentiloni in caso di missione Onu è quello «di coinvolgere i libici», o almeno alcune fazioni“.

ITALIA ALLA GUIDA?

Anche il ministro della Difesa Roberta Pinotti, intervistata dal Messaggero, conferma l’urgenza di un intervento: “L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di Paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord“.
Sulla possibilità di inviare truppe di terra, la titolare di Via XX Settembre spiega: “Dipenderà dallo scenario. Si dovranno anestetizzare realtà dove ci sono infiltrazioni terroristiche, e fare peace-keeping nel resto del territorio. Disponiamo di tre forze armate più la quarta, i carabinieri, che operano come un tutt’uno. Mezzi, composizione e regole d’ingaggio li decideremo con gli alleati in base allo spirito e al mandato della missione Onu“. Di questa coalizione farebbero parte secondo il ministro i Paesi dell’area. “In Europa, sicuramente l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, la Spagna, Malta e altri che aderiranno. Gli Stati Uniti saranno coinvolti nella strategia, quanto alla partecipazione diretta si vedrà“.
Tornando all’Italia, la Pinotti ricorda alcune misure già prese dal governo per contrastare il jihadismo: “Col decreto anti-terrorismo abbiamo messo in campo misure giuridiche e strumenti di intelligence, oltre a 5mila militari su obiettivi sensibili. Alla coalizione anti-Isis abbiamo dato 525 uomini“.

LE PAROLE DI LATORRE

Convinto della necessità di un intervento anche il presidente della Commissione difesa del Senato, Nicola Latorre, che non nasconde la sua preoccupazione: “La Libia – ha dichiarato – è la nostra Ucraina. Merita la stessa attenzione“. Per l’esponente del Pd “serve un mandato europeo per un’iniziativa politico-diplomatica che coinvolga tutti i Paesi del Mediterraneo: Italia, Egitto, Turchia, Tunisia, Algeria. Solo dopo si potranno esplorare altre vie“.



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