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Libia, tutte le mosse di Egitto, Francia e Italia

Dopo la mattanza mediatica di 21 egiziani cristiano-copti ad opera dei jihadisti dello Stato Islamico, il presidente al-Sisi aveva avvertito che il suo Paese si riservava “il diritto di reagire in modo e nel momento adeguato“. E così è accaduto.

I RAID EGIZIANI

Oggi l’Egitto ha bombardato con la sua aviazione alcune postazioni dell’Isis, arrecando danni importanti a “campi di addestramento e depositi di armi“. I raid hanno colpito Derna, una delle conquiste dei drappi neri sulla costa libica, ma anche accampamenti a Bengasi e Sirte.

Per fermare l’avanzata degli uomini di al-Baghdadi, reclutati in larghissima parte grazie al rebranding di Ansar al-Sharia, il comandante dell’aviazione libica, Saqer al-Joroushi, è stato incaricato dal capo di Stato maggiore delle Forze armate, Abdel Razzak el Nazouri, e dal capo della “Operazione dignità”, Khalifa Haftar, di “collaborare” con le forze armate egiziane, venute in soccorso.

Il Cairo preme da tempo per un intervento militare nel Paese, appellandosi al bisogno di contrastare il terrorismo e al “diritto” egiziano, sancito dall’Onu, “a difendere i propri cittadini all’estero“, presenti in grande numero nell’Est della Libia. Dietro le fibrillazione egiziane, ha spiegato a Formiche.net il generale Carlo Jean, ci sono però innanzitutto “mire territoriali sulla Cirenaica, l’area più orientale del Paese nordafricano. È lì – ricorda l’esperto di geopolitica – che si trova la massa di giacimenti libici petroliferi“. Ma anche ragioni puramente politiche. “Il governo del Cairo tenta di riconquistare la leadership del mondo arabo risalente a Nasser. Fautore del panarabismo laico e nazionalista rispetto al panislamismo propugnato dai Fratelli musulmani“.

EMIRATI CON L’EGITTO

Nel portare avanti questo progetto, Il Cairo conta sul supporto di Abu Dhabi, segno che la crisi libica è frutto non solo dell’instabilità di Tripoli, ma anche di divisioni interne al mondo arabo. “In Libia – illustrava su queste pagine Cinzia Bianco, analista esperta di Medio Oriente e Mediterraneo per la Nato Defense College Foundationle due macro-fazioni che si contendono il Paese sono sostenute da un lato da Turchia e Qatar e dall’altro da Egitto ed Emirati Arabi Uniti. I primi sostengono il vecchio parlamento, il Gnc; i secondi Tobruk, la nuova assise riconosciuta dall’Occidente“. Per questo ha stupito poco il sostegno annunciato oggi dal ministro degli Esteri degli Emirati, Abdullah bin Zayed al-Nahyan, ai raid egiziani. ”I criminali devono ricevere in modo forte e deciso la punizione che si meritano, senza esitazione”, ha aggiunto il capo della diplomazia emiratina.

APPELLI (E AFFARI) DI PARIGI

A muoversi con cautela nello scacchiere libico è anche la Francia, che oggi ha preso implicitamente le parti del Cairo. Il premier francese Manuel Valls ha chiesto infatti a tutti i Paesi del Medio Oriente, in particolare a Qatar e Turchia, di “partecipare” e di lottare contro i jihadisti. Doha, ha detto, è “sospettata di finanziare segretamente un certo numero di rete islamiste“, tra cui l’Isis. Su Ankara, peraltro membro della Nato, aleggiano le medesime, pesanti accuse. Quello di Valls rappresenta un assist ben servito ad al-Sisi, in cerca di sostegno occidentale alla sua azione, proprio nel giorno in cui Il Cairo – ricorda Defense News – s’impegna ad acquistare da Parigi 24 caccia Rafale. Stamattina c’è stata anche una telefonata tra al-Sisi e François Hollande, che ha visto i due concordi sull’importanza che il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisca per discutere della minaccia dello Stato islamico e della necessità che la comunità internazionale adotti “nuove misure per far fronte a questo pericolo“.

LA POSIZIONE DI ROMA

Negli scorsi giorni, sull’onda delle minacce dell’Isis, ormai a poche miglia dall’Italia, anche i vertici del governo, tra cui i ministri Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti, avevano auspicato sulla stampa una reazione della comunità internazionale per una possibile missione. Sul tema è poi ritornato il premier Matteo Renzi, cercando – come ha scritto oggi Fabio Martini sulla Stampa – di calmare gli animi e frenare gli interventisti.

I rischi di un’escalation sono infatti enormi e le parole, in questo momento, pesano come piombo. L’Italia ha evacuato grossa parte dei propri cittadini, dopo l’allerta dell’ambasciata di Roma a Tripoli. A tornare in patria sono stati tecnici, dirigenti e anche italo-libici che da tempo vivevano nell’ex Paese di Muammar Gheddafi. Ma la Penisola conserva ancora grossi interessi nel Paese e – sottolineano gli esperti – non è detto che vengano meglio tutelati da un’esposizione diretta dell’Italia. Anche il presidente del Consiglio ha avuto un colloquio telefonico con il presidente egiziano, al quale ha espresso il suo cordoglio per i cristiani ammazzati e ribadito le convinzioni italiane, diverse da quelle di Parigi: no a un intervento militare, meglio aspettare i negoziati condotti dalle Nazioni Unite. “In Libia – ha rimarcato Renzi – non c’è una invasione da parte dello Stato Islamico: alcune milizie che combattevano in Libia hanno iniziato a fare riferimento allo stato islamico, anche perché questo sta lavorando con una capillare opera di comunicazione e di persuasione in Africa e in Medio Oriente“.

LA CONDANNA DEGLI ISLAMISTI

La diplomazia rimane ad oggi uno dei pilastri sui quali edificare la Libia del futuro, ha detto a Formiche.net il deputato del Pd Khalid Chaouki, membro della commissione esteri e responsabile Nuovi Italiani del Partito Democratico, che il 18 febbraio volerà a Washington per prendere parte al vertice internazionale contro l’estremismo convocato da Barack Obama. “I libici – ha sottolineato – considerano l’Isis estraneo alla loro cultura“. Una distanza che il Parlamento “ombra” di Tripoli, controllato dalle forze islamiste della coalizione di Alba libica (Fajir), ha manifestato oggi condannando “con forza” i raid compiuti dai jet egiziani sulle postazioni di Isis a Derna. Si tratta di “un’aggressione e un assalto alla sovranità libica” ha detto Omar Homaydan, portavoce del Gnc, “resuscitato” dagli islamisti.
Quel che la Libia non accetterà, ha ribadito invece il primo ministro del governo libico ad interim, Abdullah al-Thinni, è la presenza di truppe occidentali di terra nel Paese. “Noi abbiamo spesso avvertito della crescente presenza dell’Isis in Libia“, ha sottolineato il premier, lamentando il fatto che la comunità internazionale si occupi solo di Siria e Iraq. La via per uscire dalla palude, passa per il premier non da soldati straniere, ma dall’attivazione “di un trattato per la difesa congiunta inter-araba” per combattere l’Isid nel territorio libico.


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