Se il piano per la banda ultralarga attende solo il via libera di Palazzo Chigi, più ingarbugliata appare la matassa delle competenze sul digitale, mentre sullo sfondo c’è sempre il dossier Metroweb al vaglio dei palazzi romani e milanesi. Ma qual è lo stato dell’arte?
COME PROSEGUE IL PIANO BANDA LARGA
Il varo del Piano nazionale per la banda ultralarga da parte del Consiglio dei ministri, atteso probabilmente per venerdì prossimo, darà il via libera agli operatori di telecomunicazioni di prenotare entro il 31 marzo le aree di investimento per le quali richiedere le agevolazioni. Questo passaggio renderà il Piano impegno vincolante nei confronti della Ue. Ci sarà poi tempo fino al 31 maggio per presentare i piani che andranno approvati, o meno, entro il 15 giugno.
LE IDEE DI GUERRA
E sarà proprio la presidenza del Consiglio a guidare la digitalizzazione del nostro Paese, tanto che, secondo le indiscrezioni da tempo scritte da Formiche.net, si starebbe già lavorano ad una struttura – probabilmente un dipartimento ad hoc a Palazzo Chigi – per concentrare competenze e funzioni in campo digitale. A capo potrebbe esserci, secondo voci di ambienti governativi, il consigliere del premier Andrea Guerra, già ad di Luxottica, che insieme con il capo azienda di Poste Italiane, Francesco Caio, sta studiando anche i modi per far confluire in questa nuova struttura anche l’opera dell’Agenzia digitale ora guidata da Alessandra Poggiani.
CHI VUOLE ROTTAMARE L’AGID
L’idea di una probabile rottamazione dell’Agid è stata riportata dal quotidiano MF/Milano Finanza: “Non deve essere servito molto allo staff dei consiglieri di Palazzo Chigi per convincere Matteo Renzi che era necessario cambiare spartito”, ha scritto Edoardo Narduzzi, imprenditore, ed editorialista dei quotidiani del gruppo Class, parlando di “uscita di scena” dell’Agid. Ecco i motivi secondo Narduzzi: “Competenze frammentate; nessun dirigente di vertice con un vero curriculum di mercato internazionale; una tendenza a comunicare più che ad analizzare e pianificare vere trasformazioni; una visione prevedibile sul futuro, mentre il resto del mondo corre senza tregua soprattutto su queste tematiche”.
“Una cantonata”, ha tuonato su Facebook Roberto Scano, esperto del web che svolge attività di supporto all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) in materia di standardizzazione e regole tecniche: “Oggi c’è qualcuno che deve aggiornare la sua bio aggiungendo a “scrivere libri e creare startup”, le parole “sparare str…””, ha scritto Scano.
IL POTERE DELL’AGID
Ma cosa non avrebbe funzionato in Agid? Il Corriere della Sera, o meglio un articolo sulla sezione Tecnologia del sito Corriere.it, ne fa una questione di potere: “Fino a quando un Ministero sarà libero di fare siti, come verybello.it, senza passare dall’ok di un gruppo alle dipendenze dirette del presidente del Consiglio, verrà sconfessata l’idea di piano nazionale. Piano nazionale significa che una volta stabilite le regole, i requisiti e le modalità nessuno può fare diversamente e questo è un punto cruciale”, ha scritto il blogger Andrea Stroppa riprendendo le voci sul riassetto digitale che coinvolgerebbe l’Agenzia diretta da Poggiani.
IL BANCHETTO DEGLI INVESTIMENTI
La mappatura del Mise, fatta attraverso la sua società in house, Infratel, ha suddiviso l’Italia in quattro gruppi. Il primo (A) comprende le 15 maggiori città italiane, la parte più attraente per gli operatori. Fanno parte del secondo 1.120 comuni ad attrattività più variabile. Il terzo comprende invece le aree marginali, in cui gli operatori investirebbero soltanto se sostenuti da un intervento pubblico. Il quarto infine le zone a fallimento totale di mercato.
Secondo il Sole 24 Ore sarebbero 96mila le aree bianche (a fallimento di mercato) a 30 e 100 Megabit per secondo (Mbps) individuate come destinatarie di possibili investimenti “agevolati” in modo tale da raggiungere gli obiettivi: entro il 2020 banda ultralarga ad almeno 100 Mbps fino all’85% della popolazione assicurando al resto degli italiani collegamenti da 30 megabit in su.
FONDI PUBBLICI E AIUTI
Le risorse pubbliche destinate al piano consistono in 2,4 miliardi di euro di fondi comunitari Fesr e Feasr, più 4 miliardi di fondi coesione e sviluppo del governo, cui vanno aggiunti i 2 miliardi di investimenti privati degli operatori.
Il decreto Sblocca Italia prevede inoltre un credito d’imposta per le infrastrutture a banda ultralarga fino a un massimo del 50% degli investimenti degli operatori
Saranno escluse dalla facilitazione fiscale le zone del gruppo A, quelle cioè dove conviene di più investire, mentre le agevolazioni si concentreranno sulle “aree bianche”, cioè le meno convenienti per gli operatori.
UN PARADOSSO?
Ma la ripartizione dei fondi comunitari avrebbe dato vita ad un paradosso: “Visto che 6,4 su 8,4 miliardi di euro destinati all’infrastruttura in banda ultralarga verranno spesi dalla mano pubblica, e dato che le aree bianche sono (prevalentemente) al sud, è possibile che, nel 2020, se non cambiano le cose, ci ritroveremo con un digital divide al contrario: cioè con un Mezzogiorno che, almeno in questo campo, andrà più veloce del Nord”, ha scritto Edoardo Segantini ieri sull’inserto economico del Corriere della Sera.
Il divario emerge anche dall’analisi del Mise secondo la quale, rispetto agli obiettivi dei 30 mega, alcune regioni come la Campania e la Puglia hanno più fondi comunitari investiti sulla banda larga di quelli che forse servirebbero, mentre per altre come il Veneto la situazione sarebbe completamente rovesciata.
Fonti ministeriali consultate da Formiche.net rassicurano: “Il fondo coesione e sviluppo servirà proprio a compensare quello che le Regioni da sole non riescono ad ottenere. I fondi superiori alla necessità, inoltre, serviranno a raggiungere l’obiettivo dei 100 mega”.
VISTO DAGLI OPERATORI
Ma la prudenza non è mai troppa: “Gli operatori di telecomunicazioni hanno una strategia d’investimento, a dire poco, molto prudente. Un atteggiamento peraltro comprensibile. I ritorni sono incerti, i costi certissimi”, ha osservato Segantini.
“Nessuno può dubitare del fatto che investire sulla banda larga abbia un ritorno certo in termini economici, seppur su lungo termine”, commentano dal ministero.
STIMOLARE ANCHE LA DOMANDA
Ma a Palazzo Chigi non si parlerebbe solo di dotazione infrastrutturale. Allo studio del governo ci sarebbero anche misure per incentivare la domanda di servizi attraverso la fibra sulle quali si starebbe concentrando in modo particolare il consigliere del premier Renzi, Yoram Gutgeld. “Quest’ultimo – ha scritto negli scorsi giorni Andrea Biondi su Il Sole 24 Ore – sarebbe il più convinto sostenitore di misure di incentivazione per la domanda”.
DOSSIER METROWEB
E Gutgeld è anche uno dei consiglieri che sta seguendo dalla presidenza del Consiglio il dossier Metroweb, la società milanese per la banda larga. Ma il consigliere principe su questa partita, come su Agid, è sempre Guerra, secondo la ricostruzione di Formiche.net. In ballo c’è l’uscita dall’azionariato di Metroweb del fondo F2i. Chi comprerà? Chi entrerà?
Metroweb è la società per la fibra ottica oggi controllata con il 53,8% dal fondo F2i, partecipato anche dalla Cassa depositi e prestiti e guidato dall’ad, Renato Ravanelli, e con il 46,2% da Fsi, il fondo strategico della Cdp capeggiato dall’ad, Maurizio Tamagnini. Anche se ancora un input politico preciso non è ancora arrivato, ci sarebbe una sostanziale coincidenza di vedute tra Guerra e il presidente di Cdp, Franco Bassanini, che è anche presidente di Metroweb.
IL FEELING GUERRA-BASSANINI
Per Guerra, nulla osta al fatto che Telecom entri in Metroweb al fianco di F2i e Cdp, ma occorre mettere a punto, con Antitrust e AgCom, una governance che preveda maggioranze qualificate per le decisioni più importanti e una parità di accesso alla rete (stessi prezzi) per tutti gli operatori, Telecom inclusa. E Bassanini, che segue da tempo la questione e con diversi governi i progetti di dotare l’Italia una rete di nuova generazione all’altezza di un Paese come l’Italia, ha anche detto di recente che l’ipotesi di un’ascesa a termine nel capitale di Metroweb da parte dell’incumbent – ovvero Telecom Italia – non sarebbe sgradita.
LE DUE MATASSE DA DIPANARE
Ci sono ancora due aspetti da chiarire. Il primo relativo a problemi antitrust sulla rete di nuova generazione, in caso di ingresso di Telecom in Metroweb, come da tempo denuncia Vodafone e come da tempo rimarcano diversi settori trasversali in Parlamento. E in Parlamento non ci sono troppe forze politiche che plaudono a questa eventualità, così come i rischi antitrust non sono secondari (come ha rimarcato tempo fa Formiche.net). E tanto meno nei sindacati. Tanto che proprio oggi dalla Fiom-Cgil è giunto un invito: no a Telecom in Metroweb, anzi la rete fissa di Telecom torni allo Stato. Ovvero alla Cdp?
Il secondo aspetto sul dossier Metroweb riguarda l’assetto aziendale. Se i piani di Fsi, il fondo strategico della Cdp, prevedono un aumento di capitale per Metroweb e una posizione sostanzialmente paritetica tra il fondo di Cdp e Telecom Italia, l’ex monopolista pare avere al momento una prospettiva non troppo coincidente. Infatti gli azionisti del gruppo capitanato dall’ad Marco Patuano avrebbero dato mandato al capo azienda di entrare in Metroweb per raggiungere una posizione maggioritaria.