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Perché il dibattito sul futuro del centrodestra ora ci annoia

Il centrodestra è morto. E noi, di gridare “viva il centrodestra”, proprio con ce la sentiamo. Un’intera area politica è stata letteralmente spazzata via da uno tsunami fatto di personalismi, piccole ambizioni e totale assenza di visione. Ci sarebbero bastate le elezioni, come orizzonte, invece anche quello pare essere un “vaste programme”. Per le prossime generazioni, come diceva quello, si stanno attrezzando. Ma con calma, non c’è fretta.

La battaglia è persa, bisogna ammetterlo. Dal punto di vista culturale, politico, oggi anche elettorale. Non è detto si tratti di una condizione duratura, anzi. Questi anni ci hanno insegnato che cambiamenti repentini del quadro politico sono all’ordine del giorno. Basta pensare alla parabola di Matteo Renzi, che nel 2012 pareva il grande sconfitto e che oggi sembra l’approdo inevitabile per milioni di consensi e larga parte delle culture politiche rappresentate in Parlamento.

Ma torniamo a noi, perché questo desolante quadro impone delle scelte. Abbiamo sempre creduto in un centrodestra ampio, culturalmente orgoglioso e non subalterno alla sinistra progressista. Prendiamo atto che questa aspirazione è oggi irrealizzabile. E che continuare a sbattere la testa contro il muro è dannoso, per noi e per il muro.

Non esistono uomini buoni per tutte le stagioni e non esistono ricette sempre valide. Noi siamo legati a doppio filo alla prospettiva fusionista, per cui ci siamo battuti spesso in controtendenza con il mondo che ci circondava. La realtà si è incaricata di smentire la percorribilità del percorso che avevamo immaginato. Ed è intellettualmente onesto lasciare che siano altri, oggi, a dare il loro contributo.

Abbiamo aperto, tanti anni fa, i nostri blog (poi confluiti in “Notapolitica” e “The Right Nation”) perché ci divertivamo a raccontarvi un punto di vista che pensavamo utile alla crescita della nostra area politica. Anche l’aggregatore Tocqueville si è sempre inserito in questo contesto, fatto di molte speranze e tante idee con cui alimentarle. Oggi le prime sono finite e le seconde sembrano essere l’ultima cosa che conta. Riteniamo dunque che, date queste condizioni, il nostro contributo possa essere – nella migliore delle ipotesi – inutile. E preferiamo fermarci qui.

Tocqueville e Notapolitica, insomma, chiudono i battenti. Dopo 10 anni di (speriamo) apprezzata militanza al servizio della Right Nation italiana, sentiamo anche il bisogno di fare altro, di dedicarci a cose che ci piacciono ma che magari abbiamo approfondito un po’ meno. Ci sono cassetti nelle scrivanie e cartelle nei nostri desktop piene di appunti di cose che volevamo fare. Ci sono libri da leggere salvati sui nostri Kindle o nascosti nelle seconde file delle nostre librerie. Ci sono gruppi musicali che ci siamo reciprocamente segnalati, playlist piene di canzoni nuove che non abbiamo mai ascoltato. Si tratta di cose diverse, molto diverse, da quelle fatte sin qui e che magari ci faranno tornare quell’entusiasmo che un po’ si è perso per strada.

Non è un addio, non lo è mai su queste frequenze. Abbiamo vite virtuali e reali particolarmente affollate e con molti di voi ci siamo sempre tenuti in contatto, fuori e dentro il web: ovviamente continueremo a farlo. Ogni tanto potremmo anche tornare a scrivere di cose politiche, ma non più qui e non con la pretesa e la speranza di poter contribuire a costruire quel che ad oggi costruibile non è. The Right Nation invece rimane. Le elezioni di questa primavera in Gran Bretagna, le primarie del Partito Repubblicano, corsa alla Casa Bianca del 2016: sono queste le cose che crediamo di saper e poter ancora raccontare.

Per tutto il resto, ci vediamo e ci sentiamo prossimamente. Forse prima quanto possiate prevedere.

Articolo tratto da Tocqueville.it


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