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Come uscire dalle macerie del centrodestra

Per discutere della drammatica situazione creatasi nel centrodestra dopo l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, qualche vecchio amico mi suggerisce di partire da quella nota citazione nietzshciana che spiega come se tu guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te.

Insomma se, dopo l’evidente umiliazione subita da larghi settori dell’opposizione al centrosinistra, ci si concentrerà sulle macerie, le macerie aumenteranno soltanto.
Certo è ragionevole chiedere una riflessione sul quel che è successo e sulle sue cause ma oggi la cosa più urgente è riprendere l’iniziativa tenendo pure conto che solo tra tre mesi milioni di italiani saranno chiamati a votare per sette regioni e per l’amministrazione di diverse grandi città.

Concentrarsi su questo obiettivo potrebbe essere già un modo per emendarsi da alcuni difetti che hanno caratterizzato il centrodestra negli ultimi anni: il più grave è stato quello di curarsi principalmente dei propri interessi di parte quando non di piccole tribù o dei singoli, invece di guardare con più cura a quelli del nostro popolo, dei nostri elettori. Per le regionali si sarebbe dovuto trovare forme di mobilitazione dei cittadini che aiutassero la partecipazione: ora è tardi.

Ma si possono ancora fare scelte con programmi e candidati giusti che valorizzino il lavoro di governo in regioni come la Campania e il Veneto, e mettano in luce l’esigenza di dare un’alternativa a realtà come la mia Liguria, la Toscana, l’Umbria, le Marche, la Puglia e di città come Venezia. La sclerosi della sinistra con fallimenti veri e propri come quello ligure o con ancor più clamoroso quello veneziano, sono una base adeguata per tornare a parlare alla gente comune invece che dedicarsi solo al confronto tra nomenklature.

Naturalmente non si deve lasciar cadere l’impegno per una profonda riforma istituzionale. Anche le vicende degli ultimi giorni  – si consideri solo il presidente del Consiglio che arriva a minacciare il suo ministro degli Interni di licenziarlo se non gli vota il candidato per il Quirinale – sono il segno che parti fondamentali della nostra costituzione sono arrivate al capolinea. In questi mesi si sono perseguiti per esempio con gli accordi del cosiddetto Nazareno obiettivi giusti (il superamento del bicameralismo perfetto, una legge elettorale maggioritaria, la modifica delle province) con provvedimenti approssimativi, scoordinati, tenuti insieme con lo sputo.

Si sta ora parlando di una riforma delle regioni fatta sotto il puro slogan: risparmiamo due euro. I cittadini stanno già pagando con supertassazioni nel territorio l’estremo avvilimento degli enti locali – condito da una serie di danni inferti dalla nuova ondata di sindaci demagoghi come i Doria, i Pisapia, i de Magistris – che in sequela hanno imposto i governi Monti, Letta, Renzi: questa situazione deteriorata peggiorerà se alla fine emergerà un potere discrezionale e senza bilanciamenti come in parte finiranno per produrre le riforme decise con un tweet da Matteo Renzi. E i neocentralismi, le neo arroganze verranno pagate dal solito Pantalone.

Ecco, non si tratta di rinunciare alle riforme istituzionali: per cambiare questo stato e questa costituzione in parte fondamentali obsoleta vanno fatti patti anche con il diavolo. Però non in un oscuro bugigattolo dove si incontrino i Verdini e i Lotti. Il centrodestra che c’è dovrebbe sin da subito convocare conferenze sulle regioni prossime venture: già Roberto Maroni e Stefano Caldoro hanno tirato fuori ottime idee, con piccole divergenze ma non distanti tra loro. Bisogna mobilitare intellettuali, imprenditori, rappresentanti della società civile per discuterne in modo insieme efficace e competente. E così si tratta di rilanciare un presidenzialismo che sta nelle cose, tirar fuori proposte per il ruolo dell’Italia in un’Europa che sta morendo tedesca, e per riformare quel convitato di pietra della nostra Repubblica che è la magistratura politicizzata.

Naturalmente una seria riforma costituzionale non può prevedere coraggiosi atti di pacificazione quelli che Giorgio Napolitano non è stato capace di fare e che negli ultimi giorni la procura di Milano rifiutando sconti di pena a Silvio Berlusconi pare volere continuare a contrastare.

Sempre per parlare alla società e non al nostro ombelico, va messo sotto un faro quella strisciante svendita di interessi nazionali che sta riprendendo dopo il festival in materia tenuto dai Ciampi e dai Prodi negli anni’ 90: Eni, Ilva, Finmeccanica, telecomunicazioni, improvvisata destrutturazione del sistema del credito (vedi le Popolari). L’aria di un nuovo collasso degli interessi nazionali è ben percepibile così come lo sono gli appoggi che questa trova sia nelle subordinazioni internazionali sia in atti della magistratura più politicizzata. Come direbbe un francese? Aux Armes Citoyens!

Così si tratta di chiedere una politica estera anche in difesa dei nostri principi (quindi contenendo certe prepotenze russe) ma coordinata scrupolosamente con l’attenzione ai nostri interessi cosa che da un po’ – tra Libia e Ucraina, tra Grecia e Nigeria, tra marò e sostegno alle nostre imprese all’estero – non sembra avvenire puntualmente.

In questo scritto, poi, non vogliamo insistere sulle tasse anche perché tra Lega e Forza Italia qualcosa su questo terreno si stava intraprendendo. Ma dopo un po’ di anni questo obiettivo, già molto lanciato però con troppo modesti risultati, per essere credibile va inserito in un contesto politicamente insieme articolato e spiegato nella sua coerenza anche alle persone più lontane dalla discussione pubblica.

Se così si rilancia insieme iniziativa e mobilitazione delle intelligenze, poi anche la riflessione sugli errori e le forme per rimediarli, diventerà un modo per dare una sbirciatina nell’abisso, senza che questo si impadronisca di noi.

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