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Perché il centrodestra non può non fare i conti con Matteo Salvini

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

In un centrodestra comprensibilmente sbandato dopo i pasticci quirinalizi compiuti dalle sue componenti moderate (al governo e all’opposizione) non mancano ora le voci che chiedono di intraprendere un nuovo percorso che sia equidistante dai due Mattei (cioè Renzi e Salvini). Capisco che chi ha dato vita al Nuovo centrodestra rompendo con una lunga milizia nettamente berlusconiana, oggi, bombardato da un presidente del Consiglio di cui reggono la maggioranza, debba cercare un qualche modo per caratterizzarsi, per aprirsi un qualche spazio che poi, una volta conquistato, vedrà come utilizzare: quando un atteggiamento è dettato essenzialmente dalla disperazione, non c’è che da aspettare che lo sconvolto in questione – e in questo caso si tratta spesso di persone non prive di qualità- recuperi maggiore serenità.

Mi è più difficile invece intendere il senso di simili posizioni (equidistanza dai due Mattei) persino in chi denuncia i berlusconiani di scarsa combattività verso Renzi. Si sceglie questo posizionamento e poi si propone una sorta di equidistanza tra Palazzo Chigi e la nuova linea della Lega? Ma come è possibile? Certo, si può giustificare un qualche fastidio per certi toni salviniani, si può chiedergli una più seria capacità di proposta, più senso di responsabilità rispetto a problemi complessi. Ma pensare che vi sia spazio ancora prima che senso logico in un’equidistanza a destra tra i due Mattei, è buttare a mare la prima regola della politica: cioè che si deve agire sulla base delle condizioni date e non di quelle che si desidererebbe fossero. Non c’è una città, non c’è una regione al Nord che si possa conquistare senza la Lega, e presto questo sarà vero anche al Sud. E in questo senso, anche al di là degli interessi “materiali” di schieramento, chi voglia oggi far maturare la politica italiana sa molto bene che la prima medicina consiste nello spingere a impegnarsi – chi fa oggi discorsi troppo roboanti – nel duro e realistico mestiere dell’amministratore.

Gli schizzinosi verso Salvini, dovrebbero considerare come si muove Renzi che proprio in queste ore ha incontrato Alexis Tsipras, in parte anche per conto di un Barack Obama preoccupato della tenuta dell’Europa nel Mediterraneo: così si fa politica estera e interna, così si tengono aperti i collegamenti tra moderati e radicali di sinistra. Non sono una tifosa del renzismo: anche dal suo ruolo nelle vicende di grandi aziende italiane (da Finmeccanica all’Ilva), o del mondo del credito, mi pare veder trasparire una trascuratezza per interessi nazionali fondamentali. In più di una mossa renziana colgo una continuità con la linea di semicommissariamento dall’estero del nostro Stato praticata da Giorgio Napolitano con i governi Monti e Letta. Ma il non condividere orientamenti pur decisivi dell’attuale premier, non mi impedisce di valutarne non solo l’abilità ma anche la qualità tecnica nell’iniziativa politica.

Combattiamone, dunque, la linea generale, ma studiamone con attenzione la logica e cerchiamo di ispirarci alla parte appunto “tecnica” della sua azione: soprattutto considerando quella sua capacità di sfondamento, muovendosi su tutta la tastiera dello schieramento politico, che si è vista all’opera nella battaglia per il Quirinale.
In questo senso è assolutamente necessario non tener conto di mediocri personaggi che di fronte alle mosse di Salvini finiscono per dargli del drogato e dello spacciatore: anche le più paradossali posizioni del leader leghista aiutano a recuperare un consenso popolare che è stato – con larghe complicità di establishment nostrano e di sistemi di influenza internazionale – dirottato verso il grillismo per impedire che pesasse nel definire gli orientamenti nazionali. Proprio per questo motivo, contrastando i piani elitistici che sognano di mettere fuori gioco almeno metà del voto popolare, bisogna aiutare i leghisti lasciando loro un po’ di briglia sciolta e intanto preparare localmente e nazionalmente un puntuale programma di governo (comprese riforme istituzionali da farsi possibilmente anche con parte rilevante della sinistra) da mettere in campo al momento decisivo.

Ma non sono pericolose le forzature leghiste su temi come quello dell’euro? Il vero pericolo che corre il nostro Continente deriva essenzialmente dalla cieca scelta dell’austerità con annessa deflazione fatta dai tedeschi: se questa scelta verrà sconfitta, se si andrà a una governance dell’Unione senza egemonismi, se si recupererà ruolo per le sovranità nazionali e popolari, allora la più aspra dialettica leghista verrà riassorbita senza problemi. Altrimenti non sarà male avere in cascina un po’ di fieno di orgoglio nazionale per non affogare del tutto in scenari che saranno assai complicati.

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