E’ comprensibile, anche se non condivisibile, il vincolo di mandato che Beppe Grillo reclama di introdurre nella Costituzione di fronte ai parlamentari che lo hanno abbandonato, e lo abbandoneranno ancora. Lui li ha letteralmente mandati alle Camere, con un rapporto di sostanziale dipendenza consentito dalle liste bloccate, per tradurre in Parlamento i suoi umori anti-tutto e anti-tutti, e se ne sente perciò tradito ora che li vede corteggiati o catturati da altri.
Per niente comprensibile, oltre che non condivisibile, è invece il vincolo di mandato auspicato da quanti, al centro o a destra, non hanno gradito il passaggio, o il ritorno, al Pd di alcuni parlamentari eletti due anni fa nelle liste montiane di Scelta Civica. In questo caso non si vede francamente quale mandato costoro abbiano violato. E non solo perché il primo a scioglierli da ogni nodo, com’è stato opportunamente ricordato da uno di loro, è stato lo stesso fondatore del movimento Mario Monti distaccandosene dall’alto e assai comodo laticlavio concessogli nel 2011, forse con troppa generosità, dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che fu il primo a rimanere spiazzato, dopo poco più di un anno, dalla decisione dell’allora e ancora capo del governo di scendere in campo – o di salirvi, come lui preferì dire – con un proprio movimento nelle elezioni politiche del 2013.
Il buon senso e il buon gusto avrebbero forse dovuto suggerire a Monti di rinunciare a quel punto al seggio di senatore a vita per mettersi completamente in gioco, poco importa se scendendo o salendo scalini. Egli fu tuttavia schietto nel motivare la decisione di partecipare a suo modo alla partita elettorale. Fu di una schiettezza che in qualche misura lo ripaga della mancanza di stile, ne giustifica adesso il ruolo defilato e, soprattutto, impedisce di ridurre ad una banale operazione trasformistica, o di tradimento, il passaggio o – ripeto – il ritorno al Pd di alcuni parlamentari eletti nelle liste di Scelta Civica.
In particolare, Monti spiegò la sua discesa o salita in campo politico con il bisogno di impedire che dalle elezioni del 2013 potesse uscire vincitore il centrodestra di Silvio Berlusconi o il centrosinistra dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Poteva piacere o non piacere, ma questo era il doppio obbiettivo dell’ormai ex tecnico Monti. Un obbiettivo, bisogna ammettere, pienamente riuscito. Una missione compiuta.
Certamente Monti non sarebbe salito, o sceso, in politica se Berlusconi non avesse ritirato l’appoggio al suo governo delle cosiddette larghe intese proprio in vista della campagna elettorale, per svolgerla al meglio del proprio partito o schieramento, come solo lui aveva già mostrato di saper fare. Né Monti sarebbe salito, o sceso, in politica se in quella vigilia di campagna elettorale le primarie per la guida del centrosinistra fossero state vinte da Matteo Renzi, anziché da Bersani con il condizionante appoggio della sinistra rappresentata e guidata da Nichi Vendola. Primarie durante le quali Monti si era peraltro speso esplicitamente come presidente del Consiglio per lamentare il troppo peso esercitato su Bersani dalla sinistra interna ed esterna al Pd, compresa la Cgil.
Da allora ad oggi sono passati poco più di due anni che sembrano dieci, e forse anche di più. Bersani ha fatto la fine politica che ha fatto, la sinistra per tornare a sorridere ha dovuto mettere una maschera di allegria sul volto triste del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Renzi è quello che è: il nuovo segretario del Pd, il nuovo presidente del Consiglio e, soprattutto, il nuovo catalizzatore di consensi e di attese, fino a quando gli riuscirà di esserlo, o non scivolerà sull’olio di cui lui stesso cosparge imprudentemente la sua strada.
In queste condizioni, con il centrodestra in crisi profonda e un Pd considerato a sinistra geneticamente modificato, a parte l’unguento costituito dall’elezione del nuovo capo dello Stato, appartiene alla logica della missione compiuta anche il passaggio o il ritorno al Pd di alcuni parlamentari eletti grazie a Monti proprio per evitare che esso rimanesse quello di Bersani. Può forse stupire solo che non fosse accaduto già prima dell’anno trascorso dalla nascita del governo Renzi.